STORIA DI COPERTINA
Lega: sarà vera rivoluzione?
Sotto la guida di Matteo Salvini, la Lega è passata da partito in crisi a forza di governo. Il nuovo ministro dell’Interno l’ha rilanciata sfruttando i vuoti lasciati dalla sinistra, soprattutto sui temi sociali. Ora però il leader lombardo dovrà dimostrare di non essere solo un campione della comunicazione: dovrà fare le cose
COME SALVARE LA LEGA? Come invertire la rotta che punta diritta verso il nulla? Nel dicembre 2013 cupi pensieri assillavano Matteo Salvini, neo segretario del partito. Roberto Maroni, allora governatore lombardo fresco di elezione, lo aveva appena designato come suo successore, spiegando di non poter fare «il segretario di lotta e il presidente di governo». Umberto Bossi, il fondatore, aveva provato a opporsi ma quattro leghisti su cinque, alle primarie e poi al congresso, avevano scelto il giovane. Giovane ma non sconosciuto: Matteo Salvini aveva iniziato la sua carriera politica già vent’anni prima, nel 1993, 21enne consigliere comunale a Milano con il sindaco Marco Formentini. Oggi, quattro anni più tardi, «la Lega è al centro». Lo dice il governatore triestino Massimiliano Fedriga, ma basta guardare i fatti: non soltanto è il partito con il più alto tasso di crescita ma la sua popolarità è l’unica che non accenna a diminuire, e le amministrative dello scorso 10 giugno lo hanno certificato. Soprattutto, a Salvini e alla Lega è anche riuscito un gioco di prestigio politico: governa a Roma con il
Movimento Cinque Stelle, e con il centrodestra in sei Regioni, decine di capoluoghi e centinaia di Comuni. Il doppio forno – da una parte gli alleati di centrodestra, dall’altra i «contrattisti» del Movimento – consente alla Lega di giocare su tutti i tavoli possibili con alcuni vantaggi secondari che tanto marginali non sono: quello di garantirsi nelle Regioni un’opposizione dei Cinque Stelle se non sterilizzata almeno dialogante. Mentre negli organi parlamentari, il fatto che Forza Italia sia all’opposizione consente di escludere il Pd e la sinistra dalla guida di tutte le commissioni di garanzia. Il sigillo di tutto è lui, Matteo Salvini, che è arrivato ad essere il vicepremier e il ministro dell’Interno. Anche se Paolo Gentiloni – e non solo lui – parla di «governo a guida Salvini». La rivoluzione, dicono i leghisti, è iniziata. Ma allora, a inizio 2014, nessuno ancora sapeva che i giorni bui erano finiti, quelli delle procure che convergono sul quartier generale di via Bellerio e incriminano Umberto Bossi, quelli dei diamanti e degli investimenti in Tanzania, quelli del partito sprofondato laggiù, sul filo del 4%. Certo: la Lega guidava con Forza Italia Lombardia e Veneto, le regioni del Pil. Ma al governo era arrivato il fenomeno Renzi, che sembrava lì per rimanere e minacciava di rendere la Lega nordista residuale e isolata. Al punto da metterne in dubbio la sopravvivenza.
MA SALVINI nuovo in effetti lo era, e nessuno aveva ancora capito quanto. Così come pochi avevano capito quanto poco c’entrasse la sua Lega con la vecchia Lega Nord. Forse soltanto Luca Zaia, governatore veneto dei miracoli. Con l’avvento di Salvini comincia ad attenersi rigorosamente a una regola: non parlare di politica nazionale e tantomeno del partito. Al congresso che lo aveva eletto c’erano già gli amici sovranisti di mezza Europa, eppure chi ci aveva fatto caso? Al massimo, si discettava su quanto fosse incompatibile la nazionalista Marine Le Pen con il localista Salvini. E invece, quella era stata la prima chiave: Europa nuovo nemico. Non che i leghisti fossero mai stati teneri con Bruxelles, ma in fondo a Umberto Bossi il tema interessava zero. Lui, Salvini, apparentemente continuava con quello che aveva sempre fatto e che non ha smesso di fare neanche ora che è al Viminale: girare come una trottola, buttare il suo corpo in mezzo alla gente, selfie fino al limite della resistenza fisica, una dieta a base di adrenalina .« Matteo un odi noi» si costruisce attraverso slogan, parole d’ ordine, segni d’ identificazione, dalla ruspa alle felpe («Quelle le metterò ancora, è sol oche adesso sono in moratoria estiva »), da# andiamo a governare alle continue dirette Facebook. L’ispirazione gli viene proprio a Bruxelles: «Ma sì – dice oggi – io vedevo che in tutta Europa c’era una discussione vivacissima che in Italia mancava completamente. La globalizzazione, la precarietà del lavoro, il ruolo delle banche. Era come se l’Italia fosse tagliata fuori dai temi più importanti che riguardano la vita delle persone, assordata dai cori a disposizione della finanza e del capitale». Senza essere Che Guevara, Salvini decide che quella è la base da cui far ripartire la Lega e riempie i vuoti lasciati dalla sinistra: «Ci eravamo allontanati dai temi sociali, e io volevo tornarci». Partono le prime campagne, i tempi sono maturi per la raccolta di 600mila firme sul tema-ossessione, la riforma delle pensioni firmata da Elsa Fornero. E poi il salario minimo orario. Ma anche temi cari alla destra classica, come la regolarizzazione del lavoro delle prostitute. Se il nemico è l’Europa, braccio operativo della finanza senza volto, il nemico non è più il Sud assistito: «Me ne accorsi sin dai primissimi giri in Calabria e in Sicilia, all’inizio del 2014. La sala strapiena di Lamezia, i pienoni nel cuore della Sicilia… Mi guardavano un po’ strano, ma l’interesse c’era eccome». E infatti, alle fatidiche europee del 2014, dopo pochi mesi di lavoro, Salvini riesce a invertire la tendenza: la Lega risale al 6,2%.
SE ROMA NON È PIÙ LADRONA, a Roma bisogna andare. Nel febbraio del 2015, Salvini convoca una grande manifestazione in piazza del Popolo. Con lui, scende in campo Casa Pound che organizza una scenografica (e inquietante) discesa dal Pincio. Più tardi
«OGGI “LA LEGA È AL CENTRO”. NON SOLTANTO È IL PARTITO CON IL PIÙ ALTO TASSO DI CRESCITA, MA LA POPOLARITÀ NON ACCENNA A DIMINUIRE» «SENZA ESSERE CHE GUEVARA, SALVINI DECIDE CHE QUELLA È LA BASE DA CUI FAR RIPARTIRE LA LEGA E RIEMPIE I VUOTI LASCIATI DALLA SINISTRA: ”CI ERAVAMO ALLONTANATI DAI TEMI SOCIALI E IO VOLEVO RITORNARCI”»
Salvini taglierà i ponti con il movimento di destra, che si renderà conto a sue spese della potenza magnetica di Salvini: accreditata dai sondaggi di ampi consensi, alle ultime politiche CasaPound si fermerà allo 0,9%. Gli altri voti, sono finiti in pancia alla Lega. In piazza del Popolo viene anche sdoganata la parola sovranismo, fin lì patrimonio della destra più spinta. Ma Salvini non accetta questa visione: «È una parola che io leggevo sul blog di Alberto Bagnai, dal quale ho imparato moltissimo, per anni. Lui viene dalla sinistra, è soltanto in Italia che il sovranismo s’identifica con la destra». Oggi, Bagnai è un deputato della Lega. Mentre in Parlamento siede Tony Iwobi, «ci volevano i razzisti della Lega per portare a Palazzo Madama un senatore nero».
SOPRATTUTTO, SALVINI CAMBIA la macchina del partito. La carrozzeria, all’inizio, sembra quella di prima, ma il motore è tutto diverso. Anzi, là sotto il cofano arrivano, impensabile fino a poco prima, dei non leghisti. Quasi tutti. Luca Morisi da Mantova, professore di roba social, da dietro alla tastiera dei suoi pc usa armi non convenzionali: rompe l’algoritmo di Facebook per portare Salvini nella pagina di chi mai avrebbe ricevuto notizie politiche, usa bot capaci di trasformare militanti e semplici curiosi in evangelisti che replicano il verbo del Capitano, rende virali anche i post dei nemici perché «bene o male, purché se ne parli». E così, Salvini supera in follower persino Beppe Grillo. Iva Garibaldi da Salerno, valorizza il primo capitale, la capacità del capo leghista di stare in video e di parlare alle persone. Il suo lavoro sembra soltanto quello di moltiplicarne le ospitate televisive e di smazzarne le interviste. In realtà, ne cura i rapporti con direttori e influencer di vario tipo, sul pezzo 24 ore su 24. E poi Armando Siri da Genova, l’uomo della flat tax, l’aliquota fissa che dovrebbe spingere anche i contribuenti più riluttanti a denunciare al fisco tutto l’incasso. E infine, appunto, Bagnai, il professore arci nemico dell’euro che non ha smesso di definirsi di Sinistra. E poi, i grandi organizzatori: il capo della segreteria Andrea Paganella e Alessandro Panza. In realtà, nel pacchetto un leghista c’è: Giancarlo Giorgetti, eminenza grigia della Lega da quando la Lega esiste, uomo di collegamento tra il partito delle piazze e mondi (in apparenza) lontanissimi, banche e consigli d’amministrazione. Ora, Salvini dovrà dimostrare di non essere soltanto comunicazione. Consapevole dell’importanza del gesto simbolico, ha già iniziato. Chiudendo i porti italiani alle navi delle Ong che salvano i migranti. La Francia, nuovo nemico, parla di gesti «cinici e irresponsabili?». Salvini può annunciare un nuovo asse italo–tedesco sull’immigrazione e rivendicare: «Siamo l’ultima chiamata per un Europa che sta morendo di silenzio e ipocrisia. Ironia della sorte, se l’Europa rinascerà sarà grazie alla nostra sveglia». Insomma, sarà rivoluzione? «A me piace l’espressione “rivoluzione gentile”. Mi piace il contrasto tra dirompente e rassicurante».
«SALVINI CAMBIA LA MACCHINA DEL PARTITO. LA CARROZZERIA, ALL’INIZIO, SEMBRA QUELLA DI PRIMA, MA IL MOTORE È TUTTO DIVERSO. ANZI, LÀ SOTTO IL COFANO ARRIVANO DEI NON LEGHISTI. QUASI TUTTI. PRIMA ERA IMPENSABILE»