ITALIA CHE CAMBIA
Negli anni è cambiato il modo di affrontare la propria omosessualità. Ne discutono due colleghe di generazioni diverse. Solo un decennio fa trovare qualcuno con cui parlarne era un'impresa. La rivoluzione è arrivata con internet, le chat, le unioni civili
Stesso sesso, stesso amore, tempi diversi
MARTINA PENNISI Sono andata a un matrimonio in Sicilia. Un matrimonio gay. Anzi, un’unione civile, anche se chiamarla così – credimi – dopo quello che ho visto mi sembra riduttivo. C’erano un’emozione, un coinvolgimento e una consapevolezza della serietà dell’impegno che non avevano niente di diverso dagli altri matrimoni a cui sono stata (e a cui, ahimé, dovrò andare nei prossimi mesi).
ELENA TEBANO Sì, è vero: l’emozione è la stessa, però...
MP Però cosa?
ET Però non ti ha fatto strano sentire la formula? «La parte dell’unione civile dichiara»... Tu ti senti una futura “parte dell’unione civile”? Era così difficile dire “coniuge”? O “consorte”, che è una parola bellissima? E poi non so: in tutte le cerimonie che ho visto, mai nessuno alla fine diceva alle coppie “adesso potete baciarvi”. Io sono sempre tornata con un misto di felicità per le persone che univano i loro destini e di amarezza per questa discrepanza.
MP Allora. In questo caso specifico il tutto era stato organizzato proprio per non accorgersi della formula o di altri particolari ma per urlare al mondo la gioia di potersi (quasi) sposare come una coppia etero. Però sì, sono d’accordo con te: penso soprattutto che quando – e se – toccherà a me un paletto di questo genere mi farà male. Calcola un’altra cosa, però: fino a qualche anno fa, facciamo cinque, in Italia almeno a me sembrava impossibile arrivare anche a un compromesso del genere. Ecco perché ogni tanto mi sembra una vittoria.
ET Cinque anni fa non credo! Sarebbe stato opporsi alla direzione di tutte le altre democrazie avanzate. Il paradosso è che nel riconoscere i diritti di gay e lesbiche per la prima volta è stata stabilita una differenza per legge rispetto agli etero. Io
credo invece che alla fine senza questa norma al matrimonio ci saremmo arrivati, magari per via giudiziaria, come negli Stati Uniti. Ma è anche vero che la storia non si fa con i se. E la cosa mirabile di avere una legge, anche se una legge limitata, è che oggi le persone, dalla Sicilia a Trieste, escono allo scoperto per celebrare pubblicamente la loro unione. Forse alla fine sarà questo a fare davvero la differenza. Quando vedo una coppia di anziani che si “sposa”, penso a quanto è cambiata la loro vita negli ultimi anni.
MP Per me e per chi ha la mia età è stata la ciliegina sulla torta, forse. Ma neanche sai? È molto importante per le coppie e ritengo sia un segnale istituzionale rilevante. C’era chi approfittava di questa diseguaglianza per continuare a considerare i gay come diversi o ghettizzarli, anche se si trattava dei loro figli. Per i singoli e per le singole dal mio punto di vista sono stati i media a buttare davvero giù i muri.
ET Quanti anni di differenza ci sono tra te e me? Neanche dieci, eppure scommetto che abbiamo visto due mondi diversi. Quando avevo vent’anni io, tra la fine dei Novanta e i primi Duemila, se pensavi di essere lesbica non c’era nessuno con cui parlarne. Trovare qualcuno come te era un’impresa.
MP Io le prime informazioni le ho cercate in internet, c’era qualcosa. Non molto. Forse mi mancava la convinzione. Quando avevi 20 anni tu, immagino fossero le associazioni e i locali i ganci principali, se non gli unici.
ET Non c’erano in tutte le città. Quindi per prima cosa dovevi scovarne uno raggiungibile con i tuoi mezzi. E avere un’amica etero disposta ad accompagnarti. Poi arrivavi lì e scoprivi che erano tutti uomini, e
per giunta le uniche quattro donne erano in coppia e poco propense a socializzare. La rivoluzione è stata internet, con le prime chat: improvvisamente bastava connettersi a un computer, dalla tua stanza, per conoscere persone come te e capire meglio chi eri e cosa volevi. Io non l’ho vissuto, purtroppo.
MP Ecco. Sì. La mia esperienza e quella delle persone che conosco è un po’ diversa. Innanzitutto perché Milano era, e credo sia ancora, un contesto favorevole. Più locali e anche dedicati a sole donne, già quando avevo poco più di 20 anni. Internet, come ti dicevo, era già fondamentale. Per leggere, informarsi, scoprire sui forum quante persone si stavano ponendo le stesse domande o si erano già concesse di vivere la vita che stavo immaginando. Però credo di aver iniziato a percepire un’altra aria quando la televisione, e a ruota gli altri media tradizionali, hanno iniziato a raccontare l’omosessualità con naturalezza. Nei film, prima, nei telefilm poi e alla fine persino nei reality show. Ricordo bene quando mandarono in onda, appositamente, la stessa sera su Italia 1 la puntata di The O.C., serie che tra il 2004 e il 2007 era gettonatissima fra gli adolescenti, in cui la protagonista baciava un’altra ragazza seguita dal film L’altra metà dell’amore, su una coppia lesbica. Fu una sorprendente boccata d’aria. Storie in cui potersi identificare.
ET Sì, per poterti immaginare, per dire chi sei, servono delle immagini in cui guardarti. Soprattutto agli adolescenti. Il grande salto in quel senso è stato Glee, il telefilm di Ryan Murphy dove per la prima volta i teenager gay e lesbiche sono diventati protagonisti come gli altri.
MP Cos’era? Il 2009. Sì, Glee è stato rivoluzionario.
Negli altri, come Dawson’s Creek ma anche in Beverly Hills molti anni prima c’era solo un personaggio gay, destinato a scomparire o a redimersi dopo qualche puntata. Glee era diverso, ha toccato corde importanti per tutti.
ET Ha “inventato” gli adolescenti gay. Non è che prima non esistessero ragazzini gay o lesbiche, ma non avevano un’identità, ora c’è. E nominare le cose rende più facile viverle. Qualche settimana fa ero a Udine e ho visto una scena che mi ha molto colpita. Nella piazza centrale della città, non una metropoli, ma un pezzo di quella provincia di cui è fatta l’Italia, c’erano due ragazzi – avranno avuto 16 o 17 anni – che discutevano, a tratti con le lacrime agli occhi. Non erano subito riconoscibili, nel senso che non erano stereotipati, ma erano una coppia gay. Si stavano lasciando, a un certo punto sono stati raggiunti da alcune amiche, uno è andato via, le amiche si sono messe a consolare l’altro. Era un dramma in piena regola e immagino che a loro abbia fatto parecchio male. Io ho sorriso.
MP Mi hai fatto venire in mente una scena analoga, che mi ha fatto pensare le stesse cose. Qualche anno fa. Un paio al massimo. Due ragazzine di 14 o 15 anni sono salite sul tram. Si tenevano la mano, sorridevano e un certo punto si sono date un bacio. Quella naturalezza anche io non potevo immaginarla da adolescente. Si rivive dopo, forse.
ET Le generazioni di gay e lesbiche che li hanno preceduti non hanno avuto quasi mai il lusso dell’adolescenza: quella palestra dei sentimenti che ti permette di scoprire cosa significa innamorarsi, desiderare qualcuno, essere ricambiati e poi non più, crescere con le proprie emozioni, confrontarle con gli altri. Rimanevamo senza un pezzo: è anche questa una violenza dell’omofobia. E la si paga: devi fare più fatica dopo per sviluppare quella parte emotiva.
MP La prima volta che ho sentito una ragazza riferirsi a un’altra come la sua fidanzata ho pensato «ok, allora si può fare». Forse oggi i ragazzini non hanno questo problema, visti i numerosi modelli che li circondano, ma l’adolescenza resta un periodo problematico. Il confronto-scontro con la famiglia, quello con i coetanei. Lo racconta la cronaca. Poi molto dipende dalle zone del Paese di cui parliamo: come dicevo prima, Milano continua a essere un’isola felice, e con lei le città più grandi e popolate da studenti e stranieri.
ET Sì, c’è un’enorme differenza tra metropoli e provincia e tra città e città. Vale anche per le unioni civili: l’anno scorso nel Centro Nord ci sono state 2,7 unioni ogni 100 matrimoni, al Sud e nelle Isole 0,5.
MP E vediamo adesso cosa succede con le famiglie: i sindaci di Torino, Bologna, Milano e Firenze tra le altre, hanno iniziato a riconoscere anche i figli nati in Italia delle coppie lesbiche che ora possono avere due mamme a pieno titolo.
ET Ecco, quella è la differenza più grande di tutte: le coppie storiche che di recente hanno firmato a Milano il riconoscimento mi hanno detto che non credevano sarebbe successo anche per loro, non ora almeno.
MP Capisco il loro stupore. E lo condivido: ho sempre pensato che un giorno vorrò avere un figlio o una figlia. L’assenza di diritti mi spaventava. Adesso mi sento più libera di desiderarlo.