SCRIVETE PER NOI: SETTEBELLO
I l migliore della settimana: Maria Pia Rosati, 58 anni
Noi prof in trincea tra ragazzi complicati e genitori rassegnati
Ogni giovedì pubblichiamo il miglior testo d’attualità inviato dai lettori a settebello@rcs.it. A fine anno, 7 proporrà una collaborazione all’autore dell’articolo più condiviso dalla nostra pagina Facebook
VENERDÌ 8 GIUGNO 2018, ore 12: esco dalla trincea. E anche quest’anno ce l’ho (quasi) fatta: l’ultimo compito corretto, i programmi svolti sulla chiavetta usb, i giudizi e le medie immortalate sul registro elettronico. Ed ecco finalmente anche l’ ultimo giorno di scuola: le letture per l’estate da consigliare, le ultime assenze da registrare, le inutili raccomandazioni ai refrattari allo studio con mamme ormai rassegnate che, chiamate a colloquio, concludono con un «Professorè, ci pensi un po’ lei…». Per non parlare dei genitori che si appostano davanti alla classe, alle otto di mattina, per convincerti che il caso del loro figlio merita una deroga. Il quattro dell’ultima verifica in storia è «inspiegabile». Avevano ripetuto insieme la notte precedente, in uno studio «matto e disperatissimo».
QUALCHE VOLTA, nell’estremo tentativo di salvare il pargolo da un temuto rinvio a settembre, qualcuno decide di stazionare, fuori dalla scuola, persino davanti alla mia macchina. E allora sento di essere ancora in trincea. E sento che il mio lavoro non è ancora terminato. Ad ogni fine anno scolastico arrivo più stanca dell’anno prima: i ragazzi che ho avuto di fronte sono stati più problematici di quelli precedenti. Insegnare per me è un vero piacere, ma è stressante venire incontro a tutte le altre competenze, sempre nuove, che vengono richieste. Una su tutte: percepire i malesseri di questa generazione non intercettati o trascurati dagli stessi genitori, improvvisandosi psicologi. E poi comprendere le difficoltà di crescere in un momento storico svuotato e incerto, molto più difficile di quello che ho vissuto io, che sì vabbè, c’era il terrorismo, ma la famiglia era un punto di riferimento. Mi porto addosso gli sguardi sofferenti dei ragazzi, nascosti dietro sorrisi forzati. Perché a 15 anni si deve essere tutti belli e felici, così dicono. E se non lo sei, fai finta. Essere uguali agli altri è l’unico imperativo per chi è alla ricerca di una propria collocazione in un Paese che sembra non promettere più un futuro ai suoi giovani. E noi insegnanti non sempre riusciamo a vincere gli sguardi smarriti con i discorsi sul valore dell’impegno e la spinta a guardare il mondo con curiosità. MI LAMENTO, a volte, ma so già come trascorrerò i prossimi giorni: mi riposerò nella prima settimana, ma poi mi mancherà quello scambio quotidiano. Leggere, scrivere, commentare, ridere, scherzare, arrabbiarsi, commuoversi perfino. E allora capisco che la fatica, la ricerca di nuovi stimoli per me e per i miei ragazzi, acquistano un senso in questi preziosi momenti di condivisione. Quella vera, non quella dei social. E aspetto settembre per entrare di nuovo in trincea.