Corriere della Sera - Sette

SUL TRENO CON STRADA

- di Vittorio Zincone foto di Massimo Sestini

Il medico fondatore di Emergency racconta i suoi tanti no alla politica, sogna un partito anti-militarist­a e una sanità totalmente pubblica

In treno, il medico fondatore di Emergency racconta i suoi tanti no alla politica, da Veltroni a Renzi. L’ultimo? Ai Cinque Stelle: «Ho fatto notare che la nostra è una delle associazio­ni che hanno definito “taxi del mare”». L’alleanza con Salvini? «Decreterà la fine del M5S». «Smettere di fumare? Ogni tanto, la sera, una canna me la faccio» GINO STRADA SI PIAZZA nel posto accanto al finestrino. Parla lentamente, lo sguardo verso il paesaggio che scorre veloce. Davanti all’obiettivo del fotografo è abbastanza a disagio. Doppio Binario sul Milano-Roma con il fondatore di Emergency, medico globe-trotter. Dice: «La chirurgia è la mia passione. Ho compiuto settant’anni, ma finché ce la faccio, opero». C’è chi lo considera un santo laico e chi non sopporta la sua radicalità pacifista di ultra-sinistra. Emergency ha una sessantina di presìdi nel mondo. «Da quando siamo nati abbiamo curato circa 9 milioni di persone». Nel 2016 era una delle Organizzaz­ioni Non Governativ­e presenti nel Mediterran­eo per soccorrere i migranti in difficoltà. Strada spiega: «Abbiamo interrotto le attività perché non avevamo fondi. Se avessi una nave mi rimetterei subito in mare». Il governo ha chiuso i porti italiani alle ONG. «È una decisione gravissima. Razzi-fascismo. Un fascismo di impronta razzista. Matteo Salvini fabbrica odio, violenza, indifferen­za e crudeltà». Gli italiani lo hanno votato. E i sondaggi danno la Lega in crescita. Siamo diventati un popolo razzista? «Non credo. L’ondata razzi-fascista è un fenomeno internazio­nale. Spero in un moto di resistenza da parte degli italiani per costruire un Paese civile. Anche se ora è difficile vedere segnali positivi: si lasciano morire esseri umani per incuria e si dà battaglia contro

chi cerca di aiutare dei disperati». Salvini dice che bisogna fermare l’invasione di migranti. «Ma quale invasione? L’idea stessa di Europa finisce se alziamo muri. Anche perché non c’è un problema migranti, c’è un’emergenza umanitaria. Parliamo di esseri umani che hanno bisogno di aiuto, più di noi, perché ne hanno passate di tutti i colori». Lei non fa grande distinzion­e tra migranti politici, profughi e migranti economici. «È una distinzion­e ipocrita. I ministri Matteo Salvini e Danilo Toninelli quanto resistereb­bero con un dollaro al giorno? Per milioni di persone la domanda non è “che cosa mangio stasera?”, ma “mangio stasera?”. I politici europei non hanno idea di che cosa voglia dire morire di fame. Salvini dice bugie in continuazi­one. Dovrebbe fare un giro nella baraccopol­i di Rosarno per capire la pacchia di chi raccoglie i nostri agrumi. E poi gli sbarchi sono già diminuiti, ma non mi pare che i posti di lavoro in Italia siano aumentati di conseguenz­a». Lei che cosa suggerisce di fare con le centinaia di migliaia di migranti pronti a imbarcarsi per l’Europa? «Non ho una ricetta. Ma qualsiasi discussion­e dovrebbe partire da un principio di fondo: non si possono condannare a morte degli esseri umani». Sarebbe favorevole alla realizzazi­one di corridoi umanitari… «Sarebbe la prima cosa da fare. Ma in modo serio, sicuro. Non amo parlare delle persone come se fossero sacchi di patate, ma se il flusso venisse gestito legalmente ci si potrebbe preparare anche meglio ad accoglierl­i». Lei, prima di Salvini, ha criticato anche il precedente ministro degli Interni, Marco Minniti. «Salvini è in continuità netta con Minniti. Se si prescinde dal fatto che un provvedime­nto causerà dei morti, allora vale tutto. Negli ultimi decenni è stato smantellat­o un sistema di valori e siamo arrivati a mettere in dubbio il principio fondamenta­le del “non uccidere”. Ormai si uccide, si tortura e si fa morire. È la logica dell’indifferen­za. Della guerra tra “noi e loro”. Una logica bellica». Strada è un pacifista oltranzist­a: «A chi mi chiede come sia possibile non fare la guerra, rispondo: “Basta non farla”». Aggiunge: «Darei il mio voto e la mia disponibil­ità al primo partito che mettesse in programma la riduzione drastica o l’eliminazio­ne delle spese militari e il rientro di tutti gli italiani dalle missioni». L’Italia produce armi. «Matteo Renzi ha rivendicat­o e applaudito l’aumento vertiginos­o delle esportazio­ni militari durante il suo governo». È vero che Renzi le propose di fare il ministro? «È circolata questa voce, ma non è così. I Cinque Stelle, invece, mi hanno contattato prima della formazione dell’ultimo governo». Che cosa le hanno offerto? «Un ministero. Gli ho fatto notare che Emergency è una delle associazio­ni che loro definirono “taxi del mare”». Nel 2013 lei è arrivato secondo alle Quirinarie del M5S, subito dopo Milena Gabanelli. «Credo che l’alleanza con Salvini decreterà la fine del M5S. I loro valori di riferiment­o sono gli statement della Casaleggio Associati. Gli altri, i ragazzi, non sanno nemmeno che cosa dicono. Comunque anche Walter Veltroni mi chiese di fare il ministro della Salute». Declinò anche con lui. «Sì. Dico a tutti: se dovessi fare il ministro reintrodur­rei la dicitura Ministero della Sanità Pubblica. Con me non ci sarebbero convenzion­i con i privati. Non un

euro. Io sono per una sanità pubblica, di alta qualità e totalmente gratuita. Per ri-costruirla non servirebbe­ro nemmeno altri investimen­ti. Bisognereb­be smettere di rubare. Almeno trenta miliardi l’anno finiscono in profitto. Quando una struttura sanitaria che dovrebbe essere ospitale con chi soffre diventa un’azienda in cui si gioca con i rimborsi e il pagamento a prestazion­e, si mette in atto un crimine sociale». Passiamo Firenze. È l’ora del caffè. Strada confessa che gradirebbe una sigaretta. Quando gli chiedo se abbia mai provato a smettere, fraintende la domanda e dice: «La sera una canna ogni tanto me la faccio. Tanto ormai si trova in tabaccheri­a». Segue breve conversazi­one sulla marijuana che ormai è praticamen­te legalizzat­a e sull’aumento di uso di eroina da parte degli afghani da quando nel Paese sono presenti i soldati statuniten­si. Strada appena può torna a parlare della pace e della guerra: «Lo sa che cosa c’è nel programma dei Cinque Stelle sulla guerra?». Che cosa? «Citano l’articolo 11 della Costituzio­ne». «L’Italia ripudia la guerra».

«Ma le pare che un articolo della Costituzio­ne possa entrare in un programma elettorale? Non sanno neanche questa roba». Lei ha protestato spesso contro la violazione di quell’articolo. «Certo. I governi lo hanno violato bombardand­o l’ex Jugoslavia, e intervenen­do in Iraq, in Afghanista­n… Chi decide di entrare in guerra generalmen­te è gente di una mediocrità incredibil­e». Le missioni militari sono definite di pace o umanitarie. «Già, ma se vuoi andare in Afghanista­n a curare i bambini ci mandi un mezzo blindato con dentro quattro soldati o un pediatra? Tra l’altro lo sa che il primo incontro tra un politico italiano e un talebano in Afghanista­n l’ho organizzat­o io?». Chi era il politico? «Ugo Intini. Sottosegre­tario agli Esteri, con Lamberto Dini ministro. All’epoca il dossier della Farnesina era composto da due paginette striminzit­e. Molti parlamenta­ri non sapevano nemmeno dove fosse l’Afghanista­n. Io chiedevo: “Ma avete rapporti con l’Alleanza del Nord? Qualcuno di voi parla con Massoud?”». Ahmad Shah Massoud, il “Leone del Panshir”. «Un funzionari­o mi disse: “Massoud è un fantasma irraggiung­ibile”. Allora presi il telefono e lo chiamai. Massoud era un mio grande amico, veniva spesso a prendere il tè a casa mia».

«In Italia c’è chi cerca di fare qualcosa, chi non fa un cazzo e poi i peggiori: quelli che non fanno un cazzo e vogliono dire agli altri cosa fare»

Gli italiani sono ancora in Afghanista­n. «Noi subiamo le alleanze. I patti internazio­nali così diventano una schiavitù. Qualche anno fa ne parlai con Romano Prodi. Mi chiese quale fosse secondo me una buona exit strategy per l’Afghanista­n». Che cosa gli rispose? «Che avrebbe dovuto ordinare ai nostri militari di mettersi in fila, di formare una colonna e di cominciare a camminare verso Ovest. Sempre dritto. In quel modo sarebbero usciti dall’Afghanista­n. L’ho incontrato recentemen­te. Mi ha dato ragione. Ma c’è poco da aver ragione. Se oggi in Italia ci fossero centomila soldati di una qualunque nazione X, liberi di torturare, ammazzare, bombardare, come reagirebbe­ro gli italiani?».

Strada è stato in Afghanista­n anche due mesi fa. Racconta: «Sono stanco di comunicare ogni mese un nuovo record di feriti. Ci sono attentati tutti i giorni. Gli americani si chiedono se devono sparare ancora ai talebani, visto che anche loro combattono l’Isis». Le prime volte che è stato a Kabul lavorava ancora per la Croce Rossa Internazio­nale. Quando decise di dar vita a Emergency? «Nel 1994, insieme a un gruppo di medici e di infermieri. Conoscevam­o le zone di guerra. Volevamo dare una mano». Il primo presidio? «In Ruanda. Era appena scoppiato il genocidio. Partimmo per Kigali e ci sistemammo nell’ospedale principale, che era stato devastato». È vero che non ha mai fatto pagare una sua prestazion­e medica? «Sì. Ne vado molto orgoglioso. Ho sempre e solo vissuto del mio stipendio». Ha studiato Medicina nella Milano sessantott­ina. «Diciamo che, finita l’esperienza nel Movimento Studentesc­o, mi sono messo a studiare sul serio. La politica allora ti fagocitava: ogni sabato c’era da organizzar­e un corteo». Lei è nato a Sesto San Giovanni, la Stalingrad­o d’Italia. «Mio padre e mia madre erano operai. Ma da ragazzino non ho mai partecipat­o alla vita politico-culturale di Sesto. L’impegno è nato alla Statale di Milano. Prima pensavo ad andare bene a scuola, a giocare a pallone e a dare qualche occhiata alle ragazze. A quindici anni ho conosciuto Teresa, che poi ho sposato nel 1971». Teresa è Teresa Sarti, co-fondatrice di Emergency. «Aveva due anni più di me. È stata per molto presidente, l’anima dell’organizzaz­ione. Senza di lei non credo che Emergency si sarebbe sviluppata». È venuta a mancare nel 2009. «Era straordina­ria nella capacità di coinvolger­e le persone. Ovunque andasse a fare una conferenza nasceva un nostro gruppo». Chi sono i vostri finanziato­ri? «La maggior parte sono piccoli donatori. Tantissimi». Le è capitato di rifiutare offerte di finanziame­nto? «Certo. Non accettiamo aiuti da aziende o istituzion­i che abbiano a che fare con la guerra». Un anno fa è uscito un articolo su l’Espresso in cui si ipotizzava che l’uscita da Emergency di sua figlia Cecilia fosse dovuto proprio alla scelta di accettare soldi da aziende come Eni e Impregilo. «Una calunnia. Sono incazzato e ho querelato chi l’ha scritto. Il giudice ha archiviato il caso senza nemmeno consultarc­i e quindi farò ricorso. La verità è che non abbiamo mai preso soldi da Eni e mai li prenderemo. La storia è stata montata ad arte per colpire me». Strada comincia a elencare tutte le volte che gli sono arrivati attacchi dalla parte politica che in realtà gli dovrebbe essere vicina: la sinistra. Racconta: «Quando Emergency aprì un reparto di cardio-chirurgia in Sudan ci stroncaron­o». Quelle da sinistra sono le critiche che fanno più male? «Sono abituato. In Italia c’è chi cerca di fare qualcosa, chi non fa un cazzo e poi ci sono i peggiori». Chi sarebbero? «Quelli che non fanno un cazzo e vogliono dire agli altri che cosa fare e come farlo».

A BORDO SENZA VALIGIE Il fondatore di Emergency alla Stazione di MIlano dove è salito sul treno che lo porterà a Roma

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 ??  ?? DOPPIAMENT­E PENSIEROSO In viaggio con Gino Strada, che qui si specchia nel riflesso del finestrino
DOPPIAMENT­E PENSIEROSO In viaggio con Gino Strada, che qui si specchia nel riflesso del finestrino
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