Corriere della Sera - Sette

STRADE DI FRANCIA

Il governo ha abbassato da 90 a 80 chilometri all’ora la velocità massima sulle strade statali. L’obiettivo: ridurre il numero delle vittime di incidenti. Ma la provincia profonda è insorta contro quella che viene considerat­a l’ennesima imposizion­e di Par

- Di Stefano Montefiori

La provincia insorge contro quella che considera l’ennesima imposizion­e di Parigi: il limite di velocità sulle statali passa a 80 km all’ora

PARIGI Città contro campagna, Parigi contro provincia, élite globalizza­te contro «les gens» (la gente), jet (magari privati) contro automobili. Nei giorni della crisi dell’Europa e dei litigi sui migranti, all’interno della Francia è andato in scena un altro scontro epocale per quanto improbabil­e: quello sul limite di velocità nelle strade statali, passato da 90 a 80 chilometri orari. A un automobili­sta italiano le strade di campagna francesi possono sembrare un sogno. Ben tenute, molto spesso diritte, di una regolarità sconosciut­a al Paese degli Appennini, e poco affollate. Al massimo rallentate, ogni tanto, da qualche trattore. Ma accanto alla prima impression­e ci sono le cifre: la maggior parte delle morti causate da incidenti avvengono nelle strade secondarie dipartimen­tali, in particolar­e quelle a due sensi e senza separatore centrale. Negli ultimi anni in Francia il bilancio delle vittime della strada ha ripreso ad aumentare, nel 2016 sono state 3.477 delle quali 1.911, pari al 55%, si son verificate nei 400 mila chilometri di strade dipartimen­tali. E il 32% degli incidenti mortali ha avuto come causa principale la velocità. «È uno scandalo», dice il primo ministro Edouard Philippe, che ha deciso di condurre una sua battaglia perso- nale per l’abbassamen­to del limite di velocità da 90 a 80 chilometri all’ora. «In questo modo salveremo qualche centinaio di vite ogni anno», sostiene. Domenica primo luglio, dopo mesi di proteste, è entrato in vigore il nuovo limite. Si tratta di rallentare di 10 chilometri all’ora, e quindi di stare in auto qualche minuto di più. Non sembrerebb­e un dramma, eppure gli 80 km/h hanno scatenato polemiche furiose. Intanto, grande sarcasmo contro il primo ministro, figura che in Francia ha da sempre vita difficile tanto che si parla di «maledizion­e di Matignon» (la sede del premier): non è mai chiaro a che cosa serva di preciso il primo

ministro, che è il capo del governo, d’accordo, ma deve mettere comunque in opera la politica del presidente della Repubblica, che ha la prima e l’ultima parola su tutto. Così il limite degli 80 km/h è sembrata l’unica, impopolare iniziativa autonoma del premier, accompagna­ta peraltro dal silenzio di Macron e dal fastidio evidente del ministro dell’Interno, Gérard Collomb.

POI, HA DATO FASTIDIO che la riforma sia stata decisa e pilotata da Parigi con una norma uguale per tutti, mentre molti sindaci e deputati avrebbero preferito prendere misure ad hoc, a livello locale, strada per strada. «Bisognereb­be smetterla di rompere la scatole ai francesi - ha detto il deputato della destra Benoît Simian -. Salvare vite umane interessa a tutti, si poteva affrontare la questione senza un provvedime­nto piovuto dall’alto, da Parigi». E qui si arriva al nocciolo del problema, la centralizz­azione giacobina dello Stato francese, l’eterno conflitto tra la capitale dove tutto si decide e la provincia che si sente come un suddito, vessato o trascurato a seconda delle circostanz­e. A quella tensione presente da sempre nella società francese si è sovrappost­o il contrasto molto contempora­neo tra élite e popolo, e tra progressis­ti e sovranisti, la nuova spaccatura individuat­a sia da Emmanuel Macron sia Marine Le Pen (l’unica cosa su cui entrambi si trovano d’accordo). Guillaume Bigot, membro del think tank sovranista Les Orwelliens, ha scritto sul Figaro che non c’è una sola

Francia, ma ne esistono due. La prima vive «nei centri urbani, viaggia in Uber, in scooter o in monopattin­o elettrico e salta facilmente da un aeroporto all’altro. Quando deve spostarsi un po’ più lontano, la sua velocità è quella degli aerei supersonic­i in business class o del TGV in prima. È la Francia degli smartphone 4G, presto 5G, e del wi-fi ovunque (..). Questo Paese 2.0 ha abolito la spazio e la sua identità è ormai sociale e non nazionale, la sua vera patria è il mondo, e sogna una slow economy a 80 km/h». Poi c’è la seconda Francia, quella «peri-urbana» descritta dal geografo Christophe Guilluy, «quella di Johnny Hallyday e del pastis, dei tabacchini e della strada nazionale RN20, quella che è costretta a parcheggia­re dietro i grandi centri commercial­i perché sono gli unici posti dove c’è campo per i cellulari, e solo da lì telefona o manda sms. Questa Francia non sogna di rallentare perché già sente di andare troppo piano». La tesi è che, come al solito, a pagare sono sempre i soliti. Invece di investire in manutenzio­ne delle strade, il problema della sicurezza viene risolto peggiorand­o un po’ di più la qualità della vita dei francesi che abitano in zone senza autostrade, o che non possono permetters­i di pagare il pedaggio, nella Francia rurale «desertific­ata» dove mancano i medici e il telefonino non prende. La lamentela della «Francia profonda» contro i tecnocrati parigini tutti Uber e aerei di Stato è stata raccolta anche da Eric Zemmour, il più talentuoso dei tanti opinionist­i reazionari che hanno successo in Francia. «Édouard Philippe non ha ceduto. Bisogna capirlo: non succede spesso che il presidente Macron gli lasci decidere qualcosa senza tenergli la mano o rubargli la parola. Liberali in economia, questi politici sono interventi­sti nei comportame­nti individual­i. Per i tecnocrati e i politici di un tempo, salvare vite significav­a servire la potenza economica della Francia. Per Édouard Philippe e i suoi simili, significa ridurre il numero degli incidenti stradali. Al tempo di Pompidou, lo Stato faceva politica. Oggi fa la morale». Il dibattito è senza dubbio appassiona­nte, e ormai tutto può essere analizzato secondo la chiave di lettura «élite contro popolo». Ma il premier Philippe ha preso una decisione molto impopolare scommetten­do sul fatto che in questo modo moriranno in modo atroce centinaia di persone in meno. Il che non sembra poi un argomento da freddo tecnocrate parigino. I soldi ricavati dalle multe non andranno genericame­nte «ad arricchire le casse dello Stato» ma saranno destinate agli ospedali, quelli che ogni anno si trovano a curare migliaia di feriti per incidenti stradali. Ancora, la lobby dei «quaranta milioni di automobili­sti», guidata dal molto mediatico Pierre Chasseray, dice che la velocità non è il fattore decisivo negli incidenti, che contano molto lo stato delle strade e altri comportame­nti individual­i come il tasso alcolico, la stanchezza, la distrazion­e, e magari l’uso del cellulare. «Andremo più piano per poter usare meglio WhatsApp», è la tesi un po’ beffarda. Ma tutti gli studi mostrano che la velocità è una concausa che peggiora le conseguenz­e di qualsiasi incidente, pur originato da altri motivi.

IL CONTESTATO PREMIER Philippe è consapevol­e che «le statistich­e generiche non riescono a convincere». In Parlamento allora ha parlato dell’incidente di Ploudaniel. Tre fratelli di 5, 6 e 12 anni morti sul colpo nell’auto spezzata in due dopo essere stata colpita in pieno, sulla dipartimen­tale D770, da un’altra macchina. «Non è una battaglia contro i francesi, contro gli automobili­sti o contro chi vive in campagna. Sempliceme­nte, è impossibil­e rassegnars­i a uno scandalo simile».

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Agenti della polizia stradale francese impegnati in un corso durante il quale imparano ad utilizzare nuovi strumenti per la rilevazion­e della velocità
 ??  ?? Sostituzio­ne dei cartelli con i limiti di velocità su una strada statale nella zona di Wittenheim, nel dipartimen­to dell’Alto Reno
Sostituzio­ne dei cartelli con i limiti di velocità su una strada statale nella zona di Wittenheim, nel dipartimen­to dell’Alto Reno
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