STRADE DI FRANCIA
Il governo ha abbassato da 90 a 80 chilometri all’ora la velocità massima sulle strade statali. L’obiettivo: ridurre il numero delle vittime di incidenti. Ma la provincia profonda è insorta contro quella che viene considerata l’ennesima imposizione di Par
La provincia insorge contro quella che considera l’ennesima imposizione di Parigi: il limite di velocità sulle statali passa a 80 km all’ora
PARIGI Città contro campagna, Parigi contro provincia, élite globalizzate contro «les gens» (la gente), jet (magari privati) contro automobili. Nei giorni della crisi dell’Europa e dei litigi sui migranti, all’interno della Francia è andato in scena un altro scontro epocale per quanto improbabile: quello sul limite di velocità nelle strade statali, passato da 90 a 80 chilometri orari. A un automobilista italiano le strade di campagna francesi possono sembrare un sogno. Ben tenute, molto spesso diritte, di una regolarità sconosciuta al Paese degli Appennini, e poco affollate. Al massimo rallentate, ogni tanto, da qualche trattore. Ma accanto alla prima impressione ci sono le cifre: la maggior parte delle morti causate da incidenti avvengono nelle strade secondarie dipartimentali, in particolare quelle a due sensi e senza separatore centrale. Negli ultimi anni in Francia il bilancio delle vittime della strada ha ripreso ad aumentare, nel 2016 sono state 3.477 delle quali 1.911, pari al 55%, si son verificate nei 400 mila chilometri di strade dipartimentali. E il 32% degli incidenti mortali ha avuto come causa principale la velocità. «È uno scandalo», dice il primo ministro Edouard Philippe, che ha deciso di condurre una sua battaglia perso- nale per l’abbassamento del limite di velocità da 90 a 80 chilometri all’ora. «In questo modo salveremo qualche centinaio di vite ogni anno», sostiene. Domenica primo luglio, dopo mesi di proteste, è entrato in vigore il nuovo limite. Si tratta di rallentare di 10 chilometri all’ora, e quindi di stare in auto qualche minuto di più. Non sembrerebbe un dramma, eppure gli 80 km/h hanno scatenato polemiche furiose. Intanto, grande sarcasmo contro il primo ministro, figura che in Francia ha da sempre vita difficile tanto che si parla di «maledizione di Matignon» (la sede del premier): non è mai chiaro a che cosa serva di preciso il primo
ministro, che è il capo del governo, d’accordo, ma deve mettere comunque in opera la politica del presidente della Repubblica, che ha la prima e l’ultima parola su tutto. Così il limite degli 80 km/h è sembrata l’unica, impopolare iniziativa autonoma del premier, accompagnata peraltro dal silenzio di Macron e dal fastidio evidente del ministro dell’Interno, Gérard Collomb.
POI, HA DATO FASTIDIO che la riforma sia stata decisa e pilotata da Parigi con una norma uguale per tutti, mentre molti sindaci e deputati avrebbero preferito prendere misure ad hoc, a livello locale, strada per strada. «Bisognerebbe smetterla di rompere la scatole ai francesi - ha detto il deputato della destra Benoît Simian -. Salvare vite umane interessa a tutti, si poteva affrontare la questione senza un provvedimento piovuto dall’alto, da Parigi». E qui si arriva al nocciolo del problema, la centralizzazione giacobina dello Stato francese, l’eterno conflitto tra la capitale dove tutto si decide e la provincia che si sente come un suddito, vessato o trascurato a seconda delle circostanze. A quella tensione presente da sempre nella società francese si è sovrapposto il contrasto molto contemporaneo tra élite e popolo, e tra progressisti e sovranisti, la nuova spaccatura individuata sia da Emmanuel Macron sia Marine Le Pen (l’unica cosa su cui entrambi si trovano d’accordo). Guillaume Bigot, membro del think tank sovranista Les Orwelliens, ha scritto sul Figaro che non c’è una sola
Francia, ma ne esistono due. La prima vive «nei centri urbani, viaggia in Uber, in scooter o in monopattino elettrico e salta facilmente da un aeroporto all’altro. Quando deve spostarsi un po’ più lontano, la sua velocità è quella degli aerei supersonici in business class o del TGV in prima. È la Francia degli smartphone 4G, presto 5G, e del wi-fi ovunque (..). Questo Paese 2.0 ha abolito la spazio e la sua identità è ormai sociale e non nazionale, la sua vera patria è il mondo, e sogna una slow economy a 80 km/h». Poi c’è la seconda Francia, quella «peri-urbana» descritta dal geografo Christophe Guilluy, «quella di Johnny Hallyday e del pastis, dei tabacchini e della strada nazionale RN20, quella che è costretta a parcheggiare dietro i grandi centri commerciali perché sono gli unici posti dove c’è campo per i cellulari, e solo da lì telefona o manda sms. Questa Francia non sogna di rallentare perché già sente di andare troppo piano». La tesi è che, come al solito, a pagare sono sempre i soliti. Invece di investire in manutenzione delle strade, il problema della sicurezza viene risolto peggiorando un po’ di più la qualità della vita dei francesi che abitano in zone senza autostrade, o che non possono permettersi di pagare il pedaggio, nella Francia rurale «desertificata» dove mancano i medici e il telefonino non prende. La lamentela della «Francia profonda» contro i tecnocrati parigini tutti Uber e aerei di Stato è stata raccolta anche da Eric Zemmour, il più talentuoso dei tanti opinionisti reazionari che hanno successo in Francia. «Édouard Philippe non ha ceduto. Bisogna capirlo: non succede spesso che il presidente Macron gli lasci decidere qualcosa senza tenergli la mano o rubargli la parola. Liberali in economia, questi politici sono interventisti nei comportamenti individuali. Per i tecnocrati e i politici di un tempo, salvare vite significava servire la potenza economica della Francia. Per Édouard Philippe e i suoi simili, significa ridurre il numero degli incidenti stradali. Al tempo di Pompidou, lo Stato faceva politica. Oggi fa la morale». Il dibattito è senza dubbio appassionante, e ormai tutto può essere analizzato secondo la chiave di lettura «élite contro popolo». Ma il premier Philippe ha preso una decisione molto impopolare scommettendo sul fatto che in questo modo moriranno in modo atroce centinaia di persone in meno. Il che non sembra poi un argomento da freddo tecnocrate parigino. I soldi ricavati dalle multe non andranno genericamente «ad arricchire le casse dello Stato» ma saranno destinate agli ospedali, quelli che ogni anno si trovano a curare migliaia di feriti per incidenti stradali. Ancora, la lobby dei «quaranta milioni di automobilisti», guidata dal molto mediatico Pierre Chasseray, dice che la velocità non è il fattore decisivo negli incidenti, che contano molto lo stato delle strade e altri comportamenti individuali come il tasso alcolico, la stanchezza, la distrazione, e magari l’uso del cellulare. «Andremo più piano per poter usare meglio WhatsApp», è la tesi un po’ beffarda. Ma tutti gli studi mostrano che la velocità è una concausa che peggiora le conseguenze di qualsiasi incidente, pur originato da altri motivi.
IL CONTESTATO PREMIER Philippe è consapevole che «le statistiche generiche non riescono a convincere». In Parlamento allora ha parlato dell’incidente di Ploudaniel. Tre fratelli di 5, 6 e 12 anni morti sul colpo nell’auto spezzata in due dopo essere stata colpita in pieno, sulla dipartimentale D770, da un’altra macchina. «Non è una battaglia contro i francesi, contro gli automobilisti o contro chi vive in campagna. Semplicemente, è impossibile rassegnarsi a uno scandalo simile».