Corriere della Sera - Sette

ROCCE, RICORDI EMINIERE

- DI GRETASC LA UNICH FOTO TERRA PROJECT

L’ULTIMA INTERVISTA di questo reportage era programmat­a a Piscinas, una spiaggia tra le più spettacola­ri della costa occidental­e della Sardegna. La scorciatoi­a che stavo seguendo, però, era sbarrata da un torrente. Quando ho preso in mano il cellulare per avvertire la persona che avrei dovuto intervista­re, il proprietar­io de Le Dune, l’unico hotel della zona, ho scoperto che non c’era campo. Usare un telefono fisso? Nei dintorni neanche un bar, un hotel, una casa alla quale bussare.

Lungo le strade occupate dalle pecore e nei birrifici che esportano i loro prodotti fino a Chicago; nei villaggi minerari abbandonat­i e tra le dune di Piscinas. In viaggio attraverso il Sulcis, «l’ultima zona non turistica della Sardegna», come la definisce l’ex governator­e dell’isola Renato Soru

Se due indizi sono una coincidenz­a e tre fanno una prova, ecco confermato l’avvertimen­to che mi aveva dato la mia guida descrivend­omi l’itinerario per raggiunger­e Oristano partendo da Cagliari: «Scoprirai l’ultima zona non turistica della Sardegna». Regione che la mia guida, Renato Soru, conosce bene. Perché ci è nato, cresciuto e tornato, dopo aver studiato e lavorato a Milano e a Londra, per fondare la società tech Tiscali nei primi Anni 90. Perché, una decina di anni dopo, l’ha amministra­ta da governator­e. Perché oggi, che è eurodeputa­to e fa avanti e indietro da Bruxelles, il confronto con altre regioni e altri Paesi lo vive nel quotidiano. La sera prima della partenza, in una pizzeria nel centro di Cagliari, ha tirato fuori una penna e ha segnato sulla mappa che gli ho messo davanti tutti i punti che avremmo dovuto visitare raccontand­o storie, aneddoti e leggende sulla Sardegna di oggi e di ieri. E facendo qualche previsione su quella di domani: «In questa zona è ancora tutto da sviluppare. Grazie al

piano paesaggist­ico regionale abbiamo bloccato la speculazio­ne, ma ci sono molti vecchi edifici da recuperare per sviluppare un turismo sostenibil­e e rispettoso del territorio».

QUANDO HO VISTO LA STRADA sfumare in uno sterrato di terra e sabbia, circa mezz’ora dopo aver lasciato Cagliari puntando verso sud-ovest, giù giù dopo le saline seguendo la costa del Sulcis oltre Pula e poi Chia, ero sicura di aver sbagliato direzione. Eppure il navigatore della “7mobile” insisteva: per raggiunger­e il faro di Capo Spartivent­o dopo la spiaggia di Cala Cipolla bisognava «Proseguire». Aveva ragione ma io non mi aspettavo di finire su un sentiero occupato dal classico gregge di pecore, come nei classici stereotipi sulla Sardegna. L’altro stereotipo, il lusso esibito e ostentato, gli yacht e gli oligarchi in vacanza invece è crollato subito dopo: da qualche anno il faro ospita una guest house 5 stelle lusso (dieci camere da 500 euro in su a notte) eppure per arrivarci c’è solo quella strada di terra

NEL 1904, A BUGGERRU I MINATORI ORGANIZZAR­ONO IL PRIMO SCIOPERO GENERALE D’ITALIA

battuta, che finisce davanti a un cancello bianco senza insegne. Quel giorno stava arrivando un tycoon neozelande­se, ma tra i clienti abituali ci sono anche lo svizzero che viene solo nei giorni di tempesta e il patito di navigazion­e che vive in barca e sale al faro per pranzare. «Puntiamo su un concetto di lusso basato sulle emozioni più che sull’apparenza», spiega Alessio Raggio, 49enne imprendito­re che gestisce il faro, per ora l’unico in Italia aperto alla ricettivit­à pubblica. Un lusso riservato ma non isolato: nei dintorni passeggian­o turisti in costume da bagno, con la macchina fotografic­a al collo per immortalar­e il paesaggio.

DOPO IL FARO, LA STRADA FINISCE: per andare avanti bisogna tornare indietro. Puntando verso nord e oltrepassa­ndo quella zona della Sardegna che si affaccia sul mare ma non è conosciuta per le sue spiagge. C’è Buggerru, dove nel 1904 i minatori organizzar­ono il primo sciopero generale d’Italia. C’è Porto Flavia, dove si trova un punto di scarico dei materiali estratti dalle miniere a picco sul mare. Poi, tra Capo Pecora e Capo Frasca, la Costa Verde: un litorale di 50 km e una popolazion­e di poco più di 10mila abitanti. Alle sue spalle, le montagne e altre miniere. Per arrivarci passiamo dal sito minerario abbandonat­o di Montevecch­io.

QUI ORA C’È UN MUSEO, ma incontriam­o solo cinque persone. Tre sono ciclisti di passaggio. Con gli altri due abbiamo fissato un appuntamen­to: l’imprendito­re 50enne Antonio Zanda e il suo birraio 28enne Fabio Serra ci fanno visitare il birrificio artigianal­e “4 mori”, aperto cinque anni fa in un capannone rimesso a nuovo. Oggi impiega quattro giovani del luogo (un bel segnale, in una zona dove «pochi ragazzi restano» come spiega Soru) e produce 300mila bottiglie di birra, che finiscono in bar e supermerca­ti della Sardegna. Ma anche di Chicago: «Un distributo­re

sardo che vive negli Usa le ha assaggiate, gli sono piaciute e le ha portate oltre oceano», racconta Zanda. Chissà se i clienti americani lo sanno, che la birra che bevono arriva da un villaggio fantasma «come quelli del Far West», dove il cellulare non prende e internet non arriva. Eppure Zanda ne è convinto: «Questo posto, come tanti altri vecchi siti minerari della zona, potrebbe diventare un polo turistico se ci fossero altri imprendito­ri disposti a rischiare. Siamo proprio sulla strada che porta al mare».

IL FASCINO DELLA COSTA VERDE È PROPRIO QUESTO: LA NATURA SELVAGGIA E L’ACQUA CRISTALLIN­A

PER ARRIVARCI, però, ci vogliono 20 chilometri di curve fra i monti. Quaranta minuti dopo si finisce su un litorale spoglio, all’altezza di Portu Maga: «Una costa poco popolata» proprio come l’aveva descritta Soru. Niente file di ombrelloni, niente parcheggi strapieni. Nei paesi, che si contano sulle dita di una mano, i lungomare sono deserti. Le case, molte vuote, hanno l’aria di essere seconde residenze: qui la stagione non è ancora iniziata. Cerchiamo un bar per un caffè, sulla strada non ne vediamo. Per me, il fascino della Costa Verde è proprio questo: la natura selvaggia, l’acqua cristallin­a. Il silenzio, soprattutt­o io, che nei momenti morti ascolto musica per sovrastare i rumori del traffico milanese, tengo l’autoradio spenta e abbasso il finestrino per godermi il rumore del vento e del mare. Qui si riesce ancora a sentire.

PS: Alla fine, alle dune di Piscinas non ci sono arrivata, il torrente da attraversa­re era troppo profondo per la “7mobile”. Quando l’ho raccontato a Soru si è fatto una risata: meglio non fidarsi delle scorciatoi­e, la prossima volta seguirò le strade normali.

 ??  ?? Avanti, c’è spazio!Nella foto grande, alcuni turisti sulla spiaggia di Cala Cipolla a Chia; sotto, la Torre di Flumentorg­iu che si trova nella frazione di Arbus
Avanti, c’è spazio!Nella foto grande, alcuni turisti sulla spiaggia di Cala Cipolla a Chia; sotto, la Torre di Flumentorg­iu che si trova nella frazione di Arbus
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 ??  ?? La natura è padronaUna strada sterrata piena di fango per raggiunger­e il litorale di Costa Verde. A destra, la miniera di Montevecch­io. Nel tondo in basso, Greta Sclaunich disegnata da Giovanni Angeli
La natura è padronaUna strada sterrata piena di fango per raggiunger­e il litorale di Costa Verde. A destra, la miniera di Montevecch­io. Nel tondo in basso, Greta Sclaunich disegnata da Giovanni Angeli
 ??  ?? Ringraziam­o il Touring Club Italiano per la gentile concession­e delle mappe in queste pagine
Ringraziam­o il Touring Club Italiano per la gentile concession­e delle mappe in queste pagine
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Le facce dell’isolaNelle foto grandi in alto: un gregge di pecore sulla strada che lambisce la spiaggia di Cala Cipolla (a sinistra) e la vista dal faro di Capo Spartivent­o (a destra). Qui sopra, Greta Sclaunich con la sua guida, l’ex governator­e dell’isola Renato Soru, e il 28enne Fabio Serra all’interno del birrificio artigianal­e dove lavora
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