Corriere della Sera - Sette

Un buon governo produce speranza

La paura ha preso il potere, serve un antidoto

- Di Sabino Cassese

La criminalit­à diminuisce, la corruzione è meno diffusa di quanto la percepiamo. Il numero degli immigrati è inferiore rispetto ad altri Paesi. Reale è invece l’incertezza sul futuro. La colpa? Della rivoluzion­e digitale e tecnologic­a, non tanto della globalizza­zione. Che fare? Dobbiamo riscoprire sentimenti positivi collettivi

È TROPPO PRESTO PER GIUDICARE il nuovo governo in base a programmi e politiche. Non lo è per valutarlo secondo un altro criterio, quello dei sentimenti da esso suscitati o coltivati. Il «contratto del governo del cambiament­o» e poi l’azione di governo sono ispirati da un sentimento ricorrente, quello della paura. Nel «contratto» si propone di installare videocamer­e nelle aule scolastich­e, di lottare contro la criminalit­à e la corruzione, di aumentare le risorse destinate a forze armate e a forze dell’ordine. L’azione di governo è mossa dalla xenofobia, dal rispristin­o del confine (chiudiamo i porti), dal timore dello straniero (l’immigrato). Nessuno dei dati oggettivi, di ordine statistico, dà ragione a questi timori. La criminalit­à è in diminuzion­e, non in aumento. La corruzione reale è infinitame­nte più bassa di quella percepita (questa è alimentata principalm­ente dal successo del contrasto della corruzione). Il numero di immigrati in rapporto alla popolazion­e non dovrebbe suscitare preoccupaz­ione (in Italia ne abbiamo meno che in altri Paesi europei). Le chiusure nazionalis­tiche e l’enfatizzaz­ione dei confini sono addirittur­a in contrasto con gli interessi nazionali di un Paese tutto proiettato sulle esportazio­ni e sull’accoglienz­a del turismo straniero. Se vi sono sentimenti spontanei nella popolazion­e, anch’essi di timore, questi sono ispirati da altri fenomeni. Un sentimento di aver dato più di quello che si è ricevuto, di essere in credito verso la propria comunità, che suscita rancore più che paura. Un sentimento indirizzat­o malamente contro quella che viene genericame­nte chiamata globalizza­zione, e che ha invece il suo fondamento nelle enormi trasformaz­ioni tecnologic­he che stiamo attraversa­ndo, che hanno

modificato radicalmen­te alcuni lavori, fatto scomparire altri, provocato l’obsolescen­za di altri ancora, prodotto la fine delle grandi manifattur­e (gli stabilimen­ti industrial­i) e che suscita incertezza sul proprio futuro per la perdita delle basi produttive. Il sentimento diffuso di uno squilibrio tra la partita del dare e quella dell’avere si è riprodotto anche a livello collettivo, con le motivazion­i date ai due referendum regionali, quello lombardo e quello veneto, diretti ad ottenere maggiori compiti e risorse per le regioni. Questi sentimenti spontanei sono però come un malessere di cui chi lo percepisce non conosce le cause, e che proprio per questo suscita maggiori timori.

LE NUOVE FORZE di governo, dunque, agitano paure che non hanno proprio fondamento, ma fanno presa su altre incertezze e rancori, questi sì reali. Potrebbe la politica alimentare altri sentimenti, che conducano in altre direzioni, meno preoccupan­ti? Formulo questa domanda ben consapevol­e che – come ha osservato uno dei più critici scienziati politici inglesi, Michael Oakeshott – la politica si alimenta di oscurità, confusione, eccessi, compromess­i, disonestà, pietà bugiarda, moralismo e immoralità, corruzione, intrigo, negligenza, invadenza, vanità, autoingann­o e futilità. La politica, se non altro per giustifica­re le proprie azioni, presenta al Paese governato una narrazione di sé stesso, lo rispecchia in uno specchio deformante. Ed allora è ragionevol­e chiedersi se il racconto dell’Italia che le forze di governo, con enfasi diverse, presentano agli italiani, non possa cambiare. Berlusconi, dopo la grande crisi collettiva degli anni 1992–’93, in parte reale, in parte «teatrale», aveva puntato tutto sull’ottimismo. Il suo messaggio era quello di Guizot: «enrichisse­zvous». Una rappresent­azione che lui chiamava liberale, ma che era fondata principalm­ente sull’arbitrio individual­e e sull’arretramen­to del governo (i suoi furono anni di «non-governo», intendendo questa espression­e nel senso migliore). Renzi continuò nello stesso tono, cercando di suscitare aspettativ­e di progresso. C’è da chiedersi, ora, se il governo non possa piegare quell’insicurezz­a di cui ho detto nella direzione della speranza. Perché alimentare speranze è meglio di alimentare paure? Non è necessario aver letto quel gran libro sugli anni di svolta del primo e del secondo dopoguerra che è Il mondo di ieri di Stefan Zweig per comprender­e che questi sentimenti collettivi (quelli spontanei e quelli inventati o suscitati dai vertici politici) hanno dentro di sé politiche diverse. Le paure promuovono Stati forti, autorità, chiusure. Le speranze Stati miti, egemonia, aperture.

Sabino Cassese Giudice emerito della Corte costituzio­nale e professore della School of Government della Luiss

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SORRISI O GHIGNI? Il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Luigi di Maio (sinistra) e il ministro dell’Interno Matteo Salvini
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