L’incuria è un atto vandalico, Liternum a Pozzuoli lo dimostra
«SCATENAVANO da ogni parte i loro battaglioni blasfemi contro la bellezza di quella terra fiorente, imperversavano distruggendo ogni cosa, annientando ogni cosa con il fuoco e con l’assassinio…» Danno ancora i brividi, sedici secoli dopo, le cronache del vescovo Vittore Vitense sul passaggio dei Vandali. E certo fu catastrofica, per l’antica Liternum scelta come buen retiro da Scipione l’Africano, la devastante scorreria nel 455 dei barbari di Genserico, protagonisti del terzo Sacco di Roma. Non meno, però, danno i brividi oggi l’ignoranza, la sciatteria, la criminalità culturale di chi ha abbandonato al degrado le rovine di quella cittadina romana posta sull’antica via Domiziana.
AVEVA RAGIONE oltre mezzo secolo fa Antonio Cederna, che davanti a certi orrori si spinse a chiedere perdono «alla memoria dei Vandali, per l’opinione comune che li calunnia: Roma e l’Italia sono state distrutte dai romani e dagli italiani. I vandali che ci interessano sono quei nostri contemporanei, divenuti legione dopo l’ultima guerra, i quali, per turpe avidità di denaro, per ignoranza, volgarità d’animo o semplice bestialità, vanno riducendo in polvere le testimonianze del nostro passato: proprietari e mercanti di terreni, speculatori di aree fabbricabili, imprese edilizie, società immobiliari industriali commerciali, privati affaristi chierici e laici, architetti e ingegneri senza dignità professionale, urbanisti sventratori, autorità statali e comunali impotenti o vendute, aristocratici decaduti, villani rifatti e plebei, scrittori e giornalisti confusionari o prezzolati, retrogradi profeti del motore a scoppio, retori ignorantissimi del progresso in iscatola».
DICONO TUTTO le ultime foto scattate nel sito archeologico a nord di Pozzuoli, nel napoletano, da Antonio Cangiano, autore di Non solo Pompei. Viaggio nell’archeologia derelitta in Campania e da anni attento osservatore sulle pagine del Mattino di Napoli dei crimini compiuti contro il paesaggio e il patrimonio storico e artistico dell’area napoletana e casertana. Al di là della lunga cancellata che protegge ciò che resta di Liternum, c’è una giungla che da anni non vede un giardiniere, un forestale, un operaio comunale, provinciale o regionale che, impugnando sega elettrica e forbici da potatura, metta mano all’inarrestabile degrado della zona. C’è chi dirà: nulla di nuovo, anche Francesco Petrarca quando cercò di raggiungere la tomba di quello che è considerato grazie alla battaglia di Zama il più grande condottiero della storia, trovò enormi difficoltà scendendo lungo la via Domiziana perché l’antica strada romana era stata infestata dalla selva. Vero, ma nel 1343. Quasi sette secoli dopo è lecito o no pretendere un po’ di rispetto da un Paese nella cui Costituzione è scritto, all’articolo 9, che la Repubblica «tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione»? «Madre natura nasconde una vergogna che va oltre i limiti!», dice sfogandosi con Cangiano il presidente dell’associazione Lca Liternum Aniello Pennacchio, «l’anfiteatro dell’antica Liternum è un gioiello dell’archeologia che andrebbe valorizzato e tutelato invece è nascosto non soltanto alla fruizione ma anche alla semplice vista». Un solo manufatto, negli ultimi anni, è stato sottoposto a lavori di «restauro» e perfino ingentilito da una nuova tinteggiatura: la villetta abusiva costruita nel bel mezzo dell’antica via voluta quasi duemila anni fa dall’imperatore Domiziano...