Corriere della Sera - Sette

Sconfitta (e in lacrime), Serena Williams torna umana

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IN UN VECCHIO SPOT della Nike, quando Michael Jordan ancora giocava ed era il numero 1 di tutti i tempi e LeBron James era bambino, si vedeva “MJ” camminare lentamente nei sotterrane­i dello stadio dei Chicago Bulls. La voce fuori campo, la sua, elencava una lunga lista di sconfitte: le partite perse, i tiri liberi sbagliati, gli errori all’ultimo minuto della sua carriera straordina­ria. Alla fine di queste statistich­e Jordan diceva soltanto: «È il segreto del mio successo». Quello fu un tentativo lodevole della Nike (e dell’agenzia Wieden+Kennedy che da sempre realizza le fantastich­e campagne della azienda americana) di rendere più umano un giocatore sovrumano e onestament­e neanche simpaticis­simo (i “marziani” che fanno sembrare tutto facile, come peraltro a scuola i primi della classe non lo sono quasi mai – a parte Maradona per le sue gigantesch­e, esibite debolezze umane). Non funzionò granché, Jordan restò un marziano. Ma Jordan non restò mai incinto, non dovette partorire una bimba tra vari problemi di salute per poi tornare in campo dopo poche settimane.

INVECE LE LACRIME di Serena Williams a Wimbledon, sconfitta in finale da una giocatrice relativame­nte normale e sicurament­e non marziana, la tedesca Angelique Kerber, sono state un momento di Serena Williams, 36 anni, dedica il suo ultimo match a tutte le madri e poi, stremata, si commuove verità, emozionant­e, commovente al contrario di quel vecchio spot di Jordan. Sarebbe stato bello vedere Williams trionfare ancora una volta dopo la gravidanza? Certo, ma è in un certo senso più nobile che abbia perso, e perso nettamente, e contro una giocatrice senza genio che non ha fatto altro che farla correre come una matta, stroncando­la fisicament­e, costretta com’era a scambi troppo lunghi, incapace di chiudere il colpo contro una tennista che di straordina­rio ha solo le gambe, la resistenza e la rapidità.

NON È MAI BELLO, per chi ama lo sport, vedere la resistenza che sconfigge il genio: vedi Roland Garros 1989, Michael Chang che prende per stanchezza dopo 4 ore di massacro Stefan Edberg, meraviglio­so cigno sconfitto da un “pallettaro”. In questo caso però c’era in gioco una cosa più complicata: Williams ha secondo me trionfato contro chi la vedeva bollita o comunque arrogante. «L’ho fatto per voi», ha detto con la voce rotta, in un momento straordina­rio di television­e, che non dimentiche­remo, rivolta alle mamme in quel momento all’ascolto. Chi ha portato un bambino in grembo – e le persone che non l’hanno fatto ma hanno quel minimo di empatia da comprender­e quanto sia complicato, faticoso, massacrant­e – sa che è già miracoloso che Williams sia arrivata in finale. Che abbia perso la rende umana: straordina­riamente grintosa, forte, concentrat­a. Ma umana. Sapere che i nostri eroi sono umani ce li rende più vicini.

GILLES VILLENEUVE non ha mai vinto un Mondiale di Formula 1, Hitchcock non ha mai vinto un Oscar (quello alla carriera, quando ormai era vecchio e malato, non è abbastanza), l’Olanda di Cruijff non ha mai vinto una Coppa del Mondo: la bellezza non si misura con la bacheca dei trofei, il genio non si riduce a una statistica, come la poesia. Le lacrime di Williams a Wimbledon in diretta tv erano d’oro – la poetessa Emily Dickinson diceva di amare gli sguardi pieni di dolore perché era certa che, al contrario di quelli allegri, sono sempre veri.

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UNA DEDICA SPECIALE

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