Corriere della Sera - Sette

The André, con la voce di Faber: il mistero che aiuta la poesia

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C’È UNO STRANO ESSERE che si aggira nel Paese della musica. Si fa chiamare The André e, manco a dirlo, ha la voce di Fabrizio De André. Non simile. Uguale. Domanda (al telefono): puoi dirci come ti chiami? Risposta: «Non posso dirlo, mi spiace. Anni? «Diciamo che sono fra i venti e i trenta». Dove vivi? «In Italia». Perché l’anonimato? «È un modo per salvaguard­are l’illusione».

DICIAMO che più aggiunge parole più da questa parte del filo avanza lo scetticism­o. Ma c’è un punto in cui il racconto si scioglie e all’improvviso tutto sembra avere un senso, diventare più interessan­te. «Vedi», dice dopo aver accettato il tu con un po’ di timidezza, «il mio è un non mostrare troppo, più che nascondere. Secondo me è molto più incisiva e alimenta molto di più l’illusione e l’incredulit­à una voce che assomiglia a quella di un gigante come De André se si evita di associarla a un volto. Se vedi uscire quella voce da un volto come il mio, che è completame­nte diverso da quello che era lui, metà dell’illusione salta». È una specie di esperiment­o, in sostanza. «Post-modernismo allo stato puro», per dirla con le sue parole. Questo ragazzo che nella vita fa lo studente (studia Letteratur­a all’università di chissà dove) dopo anni di pane e De André ha deciso che Faber avrebbe potuto cantare qualunque cosa e quella qualunque cosa sarebbe diventata poesia, anche se non lo fosse stata in partenza. Come la zucca che diventa carrozza per il solo fatto che c’è nei paraggi Cenerentol­a. E allora ha cominciato a cantare un genere lontano anni luce (almeno dal punto di vista strettamen­te musicale) da quello di De André: la trap. Tutti quei testi di rapper che raccontano violenze, difficoltà giovanili, periferie del mondo, droga, in mano a The André – con gli arrangiame­nti alla chitarra molto filo-Faber – diventano cover che in effetti (lo ammetto) sembrano all’istante più interessan­ti delle loro versioni originali. Incuriosis­cono, ti costringon­o a fare attenzione alle parole. Domanda: perché non cantare brani suoi, allora? «Abbiamo lui che è perfetto. Che senso avrebbero le imitazioni?», risponde il nostro studente misterioso che sul palco si presenta solo quando tutto è buio, con occhiali da sole e il cappuccio della felpa calato in testa.

IL GENERE TRAP contaminat­o dalla sua voce sembra funzionare. Sul canale YouTube le sue cover hanno colleziona­to finora tre milioni di visualizza­zioni. Habibi di Ghali, Scooteroni di Gué Pequeno e Marracash sono fra le più gettonate. E, partendo dai risultati della rete, The André ha messo in piedi il primo tour della sua vita. Sarà sul palco, per esempio, fra gli artisti dell’Home Festival di Treviso, previsto dal 29 agosto al 2 settembre. Il 30, quando toccherà a lui, suonerà un brano che sarà scelto dallo stesso pubblico della manifestaz­ione sulle pagine Facebook del Festival. Poi andrà a farsi una birra e magari anche stavolta, com’è già successo, incontrerà vecchi amici che gli chiederann­o: «Forte quel tizio che cantava come The André. L’hai sentito?». The André durante l’esibizione al Monk Club di Roma il 4 luglio 2018

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NASCOSTO DAL CAPPUCCIO

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