Corriere della Sera - Sette

I l migliore della settimana: Graziella Tonello, 63 anni

- Contributo giudiziosa­mente scelto da Micol Sarfatti

È UN VENERDÌ POMERIGGIO, con mio marito accompagno al parchetto i miei nipoti, nella città del Nordest dove vivono. Il parco sembra un grande cortile quadrato: ai lati si affacciano scale, terrazze, finestre degli appartamen­ti vicini. In mezzo risuonano grida e strilli dei bambini della zona che si recano lì a giocare. Ora che le scuole sono chiuse e stanno lì quasi tutto il giorno. Cerco una panchina all’ombra e immediatam­ente un gruppetto di loro attira la mia attenzione: al centro di uno spiazzo verde è posizionat­o un castello di legno variopinto.

OSSERVO I RAGAZZI, l’età va dai sette, otto anni agli undici. Sono scatenati e cerco di capire cosa stanno combinando. Nel frattempo do un’occhiata veloce alle altre panchine, già tutte occupate. Ci sono soprattutt­o donne, italiane, indiane o forse pachistane, di colore, mamme e nonne dell’Est Europa. Ma noto che i gruppi non si mescolano, ognuna sta solo con le sue concittadi­ne. Ritorno ai ragazzi che ormai hanno raggiunto un livello di rumore piuttosto alto, ma che si stempera nell’aria estiva, rinfrescat­a da un recente temporale. Ho capito: è in atto una guerra tra chi sta sopra e chi sta sotto nel castello. I due eserciti sono ben equilibrat­i: in ciascuno c’è un ragazzino marocchino, un ragazzino di colore, uno dell’Est, un indiano, un italiano che quando parla fa sentire il forte accento della sua regione. Loro, grazie al gioco, e a differenza delle loro mamme, si uniscono. L’arma è un grosso pallone giallo e chi viene colpito si deve allontanar­e un attimo. Sono scatenati, li sento gridare «Non si tratta», «Non si fanno prigionier­i», ma non sento parolacce. Sono tutti fradici di sudore, per la forza e per la foga che mettono nella loro battaglia, ma si scansano al passaggio di alcuni piccolini che vogliono scendere dallo scivolo appoggiato al castello.

A UN CERTO PUNTO mi accorgo che le formazioni sono cambiate: alcuni che stavano sopra sono passati sotto. Ricomincia­no. Aumenta il rumore e ho paura che si facciano male, mi guardo intorno e vedo che le altre donne chiacchier­ano tranquilla­mente tra loro. Altro cambio di formazione. Un ragazzino cade sull’erba: tutti si fermano, si assicurano che non si sia fatto nulla e via di nuovo con le pallonate. Dal campanile della chiesa si sentono dei rintocchi. Uno dei più grandi, marocchino, alza un braccio, si asciuga la fronte con la maglietta e dice: «Io devo andare». «Anche io», rispondono altri. «Ci vediamo domani?» chiede uno dei ragazzini di colore. Gli altri annuiscono. Rimane il piccolo indiano, dagli occhi profondi e neri; si avvicina al mio nipote più grande e gli chiede in perfetto italiano «Posso giocare a calcio con te?».

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Giochi senza confini
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