Fabio Treves: «A ritmo lento fino all’isola di Wight»
CI SONO UOMINI CHE HANNO IL DESTINO segnato da una passione. Ci cadono dentro da piccoli, come Obelix nella pozione magica, e la loro vita diventa diversa per sempre. Fabio Treves è uno di loro. Nelle sue vene scorre più musica, blues in particolare, che sangue. Basta sentirlo raccontare quando ha visto Bruce Springsteen alzargli il pollice, da sotto il palco, mentre la Treves Blues Band apriva il concerto del Boss al Circo Massimo, nel 2016. Il caso che sia nato lo stesso giorno di Jimi Hendrix, il 27 novembre, forse non è un caso. Farlo parlare di auto non lo allontana dalle note musicali. Anzi: le auto, o i furgoni, sono citati solo esclusivamente come mezzi utili, e molto amati, per fare, o ascoltare, concerti, dovunque. Sempre di altissimo livello. Come quello del Festival dell’isola di Wight. Era il 1970, in Europa era arrivato l’eco di Woodstock e, da qualche mese, si era diffusa l’idea che in Inghilterra si stesse organizzando qualcosa di simile. Forse ancora più straordinario, visti i nomi che si rincorrevano. Anche quello dei Doors, per esempio, che a Woodstock non erano andati, così come Miles Davis. «Già capire dove fosse quell’isola di cui nessuno aveva mai sentito parlare, non era facile. Così come sapere quanto ci avremmo messo ad arrivarci». Fine agosto, partenza. In formazione classica per quel periodo, e forse anche per quella meta: in cinque su una Renault R4. Con sacchi a pelo di ordinanza. Una spedizione, mistica. Due giorni e mezzo di viaggio, a velocità di carrozza. Mangiando poco, dormendo meno, ma arrivando sotto a un palco entrato nella Storia.
«Il viaggio forse più duro invece che abbiamo fatto noi, per suonare, è stato un Milano-Salento andata e ritorno, con il nostro Ford Transit». Impossibile senza pozione magica.