Corriere della Sera - Sette

Dolore minimo

- GIOVANNA CRISTINA VIVINETTO

Una volta l’anno discendevo a te, madre, d’autunno. Tu mi accoglievi con foglie tra le mani che disperdevi al vento ad ogni mio arrivo. Capivi, madre, l’ordine nascosto delle cose – così quando ai miei otto anni sussurravi «figlia mia», io ti rinnegavo tante volte quante erano le foglie che svolavi. «Siamo foglie d’autunno, figlia mia» era il tuo unico, dolce monito. Per i successivi dieci anni discesi a te ogni autunno, madre e ti vedevo, com’eri solita fare, disperdere foglie e sibilare tra le labbra nomi di donna

– nomi di figlia a me ignoti. L’autunno dell’undicesimo anno scesi a te, madre, ma non ti trovai più: le foglie restavano ammucchiat­e

– non c’erano mani a liberarle nel vento. Ti chiamai, sussurrai il tuo nome, sciogliend­o la verità in esso nascosta. Quell’autunno al posto tuo, in vece delle tue mani dispersi le foglie, mi nominai al vento, riemersi dall’inferno che mi moriva in petto: fu così che mi arresi al dolore dei nomi quando capii che quel nome che andavi chiamando era il mio, madre.

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