«NON POSSO FARE A MENO DELLA PROFONDITÀ»
Alessia Zecchini
Alessia Zecchini, campionessa mondiale di apnea, racconta come si scende in mare a 107 metri con un solo respiro
Cosa vuol dire andare giù a 107 metri con un solo respiro? Ce lo rivela, in un’intervista sottomarina, la campionessa mondiale di apnea. Sogna che diventi uno sport olimpico e ricorda il suo allenatore, scomparso un anno fa per una sincope. Mai pensato di smettere? «No. La profondità è qualcosa di cui non posso fare a meno»
IN UN CALDO MERCOLEDÌ mattina d’agosto nel mare aperto davanti a Ostia può capitare di vedere un essere umano fare una cosa non umana. Ti emoziona, come quando osservi un fenomeno reale ma indecifrabile. Riservato a pochi. Tra questi pochi c’è Alessia Zecchini, la più forte apneista vivente. 26 anni, romanissima, occhi cristallini e sorriso contagioso, è la campionessa mondiale in carica in tutte le specialità dell’apnea. Sport minore, «ma candidato alle Olimpiadi 2024», rivela l’atleta, e di cui l’Italia vanta una delle squadre più forti nel pianeta. Zecchini da sola ha totalizzato finora 10 ori mondiali e 14 record del mondo. L’ultimo, quello del 26 luglio al Vertical Blue delle Bahamas: ha battuto il record che lei stessa deteneva nell’apnea in assetto costante con monopinna scendendo alla profondità di 107 metri. Nel freddo e nel blu totale, «anzi, là è proprio nero!», racconta sulla barca che ci porta al largo.
Doppio Binario nel Tirreno: non avevo mai condotto un’intervista in costume e occhialini, cercando – per realizzare una foto cui Massimo Sestini teneva molto – di tapparmi il naso a intervalli costanti per compensare le orecchie in discesa, di stare immobile a gambe incrociate a tre metri sotto il mare e di simulare un’intervista subacquea. Lei impeccabile, io a dir poco comica, ma non è stato difficile convincermi, e Sestini ha avuto ragione. «Tu scendi quando vuoi, io ti aspetto giù», mi dice Alessia, prende il fiato e scende. Mentre io vado giù e su
un paio di volte, lei sta giù. Ha una capacità polmonare superiore a 6 litri e sa trattenere il fiato in immersione per 7 minuti in apnea statica, fino a 4 nelle altre specialità. Libertà, adrenalina, paura? Per Alessia l’apnea comprende le prime due, la terza mai.
Ci fermiamo in un punto distante dalla costa che segna una profondità di 20 metri. Alessia quand’è a Roma si allena in piscina, «l’unico posto in cui possiamo prepararci e gareggiare qui nel nostro Mediterraneo è Ischia», spiega. Mentre Ostia si allontana, si prepara. Indossa tuta, maschera e mi mostra la sua monopinna in carbonio con cui in 13 anni ha imparato ad andare sul fondo del mare, con un respiro.
Cosa si sente scendendo a queste profondità?
«Il silenzio totale. Non c’è altro, oltre al buio sempre più avvolgente che ti porta giù. Sei concentrato unicamente su te stesso e sulla cima bianca che hai davanti a te. È l’unica cosa che riesci a vedere».
Se dovessi descrivere questo silenzio?
«La pace: sott’acqua c’è una pace difficile da trovare fuori. È una profondità anche interiore: l’apnea insegna a conoscersi, ad ascoltarsi e a gestire le proprie emozioni. Non puoi distrarti. L’unica cosa che un po’ disturba è il piccolo drone che ci segue fino a giù: è una novità degli ultimi tre anni, ma è bello perché in questo modo le persone vedono cosa facciamo».
Cos’è per te la profondità?
«Qualcosa di cui non posso fare a meno. Mi piace troppo. È una continua ricerca interiore e miglioramento delle mie capacità per arrivare a fare qualcosa in più».
Una domanda cui sarai abituata: ci spieghi come fai?
«(Ride) Quando scendi devi stare concentrato per i primi 30/40 metri sulla tecnica di pianeggiata, poi smetti, ti lasci cadere e devi pensare solo alla compensazione delle orecchie perché per un piccolo errore devi girare e tornare in superficie».
Come si compensa?
«Ci sono diversi metodi. Quello che noi usiamo si chiama mouth fill, cioè mettiamo aria in bocca tra i 20 e i 40 metri per mandarla nei timpani, con diverse tecniche. La cosa importante è che quell’aria deve rimanere in bocca: se per caso si apre la glottide e torna giù dopo i 60/70 metri, non si può fare più niente se non risalire perché i polmoni sono troppo piccoli e non riusciresti più a trasportarla in bocca. Non puoi commettere errori fino al piattello».
Riprendiamo da dov’eravamo rimaste: come funziona la discesa?
«I primi metri è come se stessi continuando a respirare. Poi entri in un flow (flusso, ndr) in cui non senti la fame d’aria. Il mare aiuta: se riesci a concentrarti sulla tecnica, senti molto meno e la mente riesce a gestire tutto».
Quindi è la mente che ti fa andare giù?
«Esattamente. Sei così tanto concentrato che non senti la voglia di respirare. Puoi avere qualche contrazione, ma non è una cosa che dà fastidio. Il respiro non conta più. Con la mente puoi superare qualunque cosa».
Per scendere hai dei pesi?
«Io ho mezzo chilo, c’è chi ne ha di più. Il problema è che più pesi porti giù, più ti aiutano nella discesa, più diventa complicata la risalita. Per cui io preferisco essere leggera in modo che la risalita sia più facile. Noi apneisti possiamo scendere e risalire alla stessa velocità, non dobbiamo fare nessuna tappa di decompressione, diversamente dai sub, perché l’aria che abbiamo è solo il nostro respiro».
Come ti prepari al tuffo?
«Prima faccio esercizi di stretching toracico, perché bisogna incamerare quanta più aria possibile. Il respiro col diaframma è la base. Poi a occhi chiusi faccio la visualizzazione di tutta la gara, una o due volte».
Cos’hai dovuto superare per andare sempre più giù?
«Non la paura. La cosa più difficile è stata migliorare la compensazione. Il problema di tutti gli apneisti – oltre all’aria, certo (sorride) – è compensare le orecchie. Come hai visto tu!»
Sì, nei miei tre metri di profondità posso confermarlo! Impressiona vedere i video delle tue gare perché pare che tu faccia questo con una semplicità pazzesca.
«Eh sì, mi piace proprio tanto. Non mi pesa, non sento la pressione e in certe occasioni – come ai 107 – ho sentito anche una scossa di adrenalina al piattello perché ero così felice, sapevo di aver fatto il record del mondo, e questo mi ha aiutata nella risalita».
Non provi dolore fisico?
«No, zero. Non sento niente».
Ci saranno volte in cui capisci di non farcela più…
«Ovviamente negli allenamenti e nelle gare in piscina puoi decidere tu quando smettere, sentendo i segnali che il corpo ti dà. In mare capita la giornata no, ma quel-
«È uno sport che appassiona tanti perché permette di vivere un ambiente sconosciuto ai più. Sott’acqua c’è un altro mondo, e c’è una pace difficile da trovare fuori»