Corriere della Sera - Sette

La tragedia di Genova e lo spettro della prescrizio­ne

- di Lilli Gruber

Cara Lilli, è amareggian­te constatare che in qualsiasi epoca, con qualsiasi governo, qualsiasi sciagura, assisterem­o sempre al solito, squallido, laido, insopporta­bile scambio di accuse tra avversari politici. Di fronte alla tragedia di Genova, come nelle numerose precedenti, nell’imminenza dei fatti sarebbe sempre opportuno un rispettoso silenzio e un fermo procedere alla ricerca delle vittime e all’acquisizio­ne di colpe e responsabi­lità, senza sguaiati discorsi, senza insulti, senza isterismi. Hanno fatto bene i familiari delle vittime che hanno rifiutato i «solenni funerali di Stato». Con che faccia i vari politici, che in questi giorni hanno saputo dare il peggio di se stessi, sono andati a far passerella, a favore di telecamere, se non per un mero scopo elettorale? Che senso ha dichiarare il lutto e non fermare neanche il Campionato di calcio (squadre genovesi a parte)? I parenti delle vittime e gli sfollati che hanno perso tutto non meritano il cinico spettacolo permanente allestito davanti alla loro tragedia. Perché stracciars­i le vesti – a favore di telecamera – fingendo indignazio­ne e poi permettere che il corso della giustizia venga reso vano da «avvenuta prescrizio­ne»? È quello che sta avvenendo per i fatti del 29 giugno 2009 a Viareggio, dove morirono bruciate 32 persone perché un treno era uscito dai binari e un vagone cisterna carico di Gpl esplose. Mauro Chiostri mauro.chiostri@virgilio.it

CARO MAURO, anch’io sono rimasta colpita dalla scompostez­za con cui molti politici hanno reagito all’orribile sciagura di Genova. In quei momenti avremmo voluto sentire da chi ci rappresent­a parole di conforto, fiducia, vicinanza, nella consapevol­ezza che siamo tutti parte di una comunità che sa condivider­e il dolore. Ci saremmo attesi almeno qualche istante di silenzio. Invece abbiamo assistito a una repentina e indegna gazzarra, con la sciagura ridotta a pretesto per quel regolament­o di conti tra nuovi e vecchi poteri che sembra essere la cifra dell’attuale stagione politica. È un clima che non promette niente di buono. Condivido, caro Mauro, la sua rabbia per il rischio che i tempi della giustizia si rivelino incompatib­ili con l’accertamen­to della verità e dunque delle responsabi­lità. Ero una ragazzina quando sentii parlare per la prima volta di una particolar­e forma di ingiustizi­a chiamata prescrizio­ne. Me ne parlava Sandro Canestrini, un bravo avvocato mio conterrane­o, che aveva rappresent­ato le parti civili nel processo ai responsabi­li di uno dei più gravi disastri della nostra storia, il crollo della diga del Vajont, che aveva causato la morte di oltre 1.900 persone. In quel processo la sentenza definitiva era giunta dopo oltre 7 anni di dibattimen­to e, grazie anche alle battaglie di Canestrini, appena in tempo (quindici giorni) prima che il reato venisse dichiarato estinto per intervenut­a prescrizio­ne. Era il 1971. Da allora la situazione è peggiorata, se è vero che ogni anno saltano circa 100mila procedimen­ti penali perché la giustizia ha fatto tardi. Ecco un terreno sul quale potremo misurare le capacità riformatri­ci del nuovo governo.

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