Via il bar abusivo a Siracusa, non sempre i furbi la fanno franca
SOTTO LE MACERIE del ponte Morandi, nei primi giorni di strazio, pianti, liti nel governo e accuse ai Benetton, è rimasta anche una notizia che non merita di finire nell’oblio. Certo, non è poi così importante davanti a una tragedia come quella genovese. Dice però che non sempre i furbi finiscono per vincere. Ricordate lo scandalo denunciato settimane fa sul Corriere dell’oscena costruzione d’un bar-caffetteria-ristorante nella Piazza d’Armi del bellissimo Castello Maniace di Siracusa, a dispetto delle proteste degli ambientalisti? Replicò allora la soprintendente Rosalba Panvini che il terreno non appartiene al Demanio regionale siciliano ma all’Agenzia del Demanio statale e che questa aveva bandito «per conto proprio» la gara per valorizzare l’ex Piazza d’Armi e che lì «da anni facevano d’estate feste di ogni genere con strutture provvisorie orrende e più grandi dove c’erano perfino le bancarelle e il dancing!» e che «nessuno si lagnava tanto» e che lei non poteva certo «mettersi di traverso» al progetto perché «tutte le leggi sono state rispettate». Per concludere così: «Vogliamo impedire l’uso temporaneo di quello spazio? Tutti i musei e i siti archeologici del mondo hanno una caffetteria e un luogo dove i visitatori possono ristorarsi. Qui no?».
LA RISPOSTA è arrivata il 21 agosto su carta intestata dell’Assessorato siciliano ai Beni Culturali e indirizzata anche alla Procura della Repubblica. Firmata dal soprintendente ad interim Calogero Rizzuto, dice che «gli elaborati prodotti dalla ditta confermano sostanzialmente le difformità rilevate dall’ufficio». E cioè che il basamento della struttura (spacciata dai promotori come leggera e facilmente rimovibile) non è poggiata «su zavorre prefabbricate» ma realizzata illegalmente con una «platea armata e gettate in opera» proprio come dicevano le foto degli ecologisti. Di più: c’è un «sostanziale incremento della altezza complessiva della struttura rispetto al progetto approvato».
Ordina quindi «la reintegrazione delle opere eseguite abusivamente…». Cioè la demolizione dell’orrenda piattaforma di cemento armato con tutto ciò che c’è sopra per farla, davvero, una struttura leggera che tenga conto del rispetto dovuto a un luogo bellissimo e tutelato.
EVVIVA le granite da consumare vicino al Castello, ma no a enormi catafalchi cementizi, grazie. Fatto questo passo obbligato, preceduto a fine luglio dallo spostamento di Rosalba Panvini da Siracusa a Catania, sarebbe importante che adesso l’Assessorato regionale ai Beni Culturali e la Soprintendenza, nelle prossime settimane, facessero un gesto in più. E cioè si
costituissero parte civile, mostrando da che parte sta lo Stato dopo troppe incertezze e troppi compromessi, nel processo che si aprirà finalmente a novembre per il caso di corruzione che ha coinvolto nel febbraio scorso una quindicina di giudici e avvocati. Ricordate? C’era in ballo, tra l’altro, una intimidatoria richiesta danni per 283.821.669 euro ai tre coraggiosi soprintendenti che avevano stoppato la costruzione di 71 villette e due centri ricettivo-direzionali sul pianoro dell’Epipoli, un’area archeologica tutelata dagli anni Cinquanta. Ai primi d’agosto, quella costituzione di parte civile che renderebbe giustizia ai soprintendenti nel frattempo «spostati» non è stata fatta. Niente di male. Purché al momento giusto lo Stato batta un colpo.