Il migliore della settimana: Armida Bertoldi, 90 anni
VAL DI NON, ANNI 40-50.
Eravamo tre sorelle e quattro fratelli. Noi non vestivamo «alla marinara», ma era ugualmente una festa, a ogni cambio di stagione, poter indossare i vestiti dismessi e poi riciclati tra di noi in famiglia. «Per necessità di misura», ripeteva mia mamma; e il più giovane – e per questo grande riciclatore – faceva presente che forse era anche per mancanza di pecunia e si chiedeva speranzoso, a voce bassa, se alla prossima passerella domestica avrebbe avuto anche lui il piacere di indossare una bella giacchetta nuova.
UN ANNO
il nostro pluririciclato guardaroba fu arricchito dall’arrivo di un voluminoso pacco. Ce lo aveva spedito una cugina di mia mamma: un crudele destino l’aveva privata dell’unico figlio a causa di un incidente. Il pacco conteneva vestiario appartenuto a questo suo figlio; c’erano camicie, pantaloni, un cappotto, un bel gilè in pelle e quattro graziose giacchette che sembravano nuove.
CI FU UN GRAN TRAMBUSTO
in casa quel giorno e, in men che non si dica, tutte le sedie e il divano furono occupate dagli abiti. Mia sorella rideva divertita mentre aiutava la mamma a mettere in bella mostra ogni capo che le porgeva. E la mamma ripeteva come fosse una litania: «Sia benedetto il Signore per questo ben di Dio che abbiamo ricevuto!». Il maggiore dei fratelli capì subito che era fuori taglia, e si mise in disparte; lo seguirono il secondo e il terzo. Era rimasto il più piccolo, che improvvisamente saltò in piedi su una sedia. Dopo aver dedicato un pensiero di pietà al povero cugino morto, e mandato un bacio e un grazie alla cugina tanto generosa, tra il serio e il faceto, chiese la nostra attenzione. Con molta compostezza ci disse che finalmente si sentiva un signore, in quanto possedeva quattro belle giacchette nuove e desiderava la nostra attenzione sull’uso che ne avrebbe fatto.
INDOSSÓ PER PRIMA
quella grigia, riservata per andare a scuola; quella azzurra per andare allo stadio e quella a quadretti per andare in montagna. Infine indossò l’ultima. «Questa», disse, «la riservo per il passeggio, trovo che sia la più elegante. Peccato che manchino il cappello e il bastone con l’impugnatura d’argento, come usa portare il signor notaio, che tutti in paese definiscono un gran signore. Ma io so aspettare per questi due oggetti. So che prima o poi arriveranno!». Tutti scoppiammo a ridere, contenti che almeno uno della famiglia, per due o tre anni, avesse risolto il problema degli abiti. Come era bello allora vestirsi senza l’assillo e le imposizioni della moda, ma accogliendo con entusiasmo tutto quello che ci arrivava dal destino.