La lunga notte di John D. MacDonald scrittore a sangue freddo (prima di Capote)
LE PREFAZIONI SI SCRIVONO
dopo il testo che presentano, si pubblicano prima e non si leggono né prima né dopo. L’eccezione a questa (aurea) regola editoriale è la premessa di Nicola Manuppelli a Il termine della notte di John D. MacDonald. Manuppelli (traduttore del romanzo) disegna un perfetto ritratto dello scrittore americano John D. MacDonald (1916-1986). Chi era MacDonald? Un autore venerato da Stephen King, che gli ha dedicato una delle sue storie migliori (The Sun Dog, appena ristampata da Pickwick) con le parole: «Questo è per ricordare John D. MacDonald. Mi manchi, vecchio mio. E avevi ragione sulle tigri». Sempre King ha definito proprio Il termine della notte: «Uno dei più grandi romanzi americani del ventesimo secolo, degno di stare fra opere come Morte di un commesso viaggiatore e Una tragedia americana ».Eha aggiunto: «La prima volta che lessi un romanzo di MacDonald fu come se stessi dormendo e mi avessero gettato in faccia dell’acqua fredda».
NON SI TRATTA
di una fissazione personale e solitaria di King. Anche Kurt Vonnegut, un maestro (non segue dibattito), ammirava MacDonald: «Per gli archeologi che fra migliaia di anni le scopriranno, le opere di John MacDonald sembreranno un tesoro pari alla tomba di Tutankhamon». E Kingsley Amis, scrittore inglese dal palato stilistico finissimo, osò paragonare la prosa di MacDonald a quella di Saul Bellow, uno dei due, tre (quattro?) più grandi scrittori americani del secolo scorso. E indovinate chi fece vincere? Eppure MacDonald non ha la fama che merita anche se qualche soddisfazione se la levò (spesso, purtroppo per lui, da morto). Dal suo romanzo The Executioners (scritto in tre mesi per vincere una scommessa con un collega che lo riteneva incapace) sono stati tratti due film di culto (entrambi intitolati Cape Fear), con Gregory Peck