Corriere della Sera - Sette

Cosa può imparare un politico vivendo un mese in una baraccopol­i?

- Il sindaco di Seul Park Won-Soon

AL MUNICIPIO DI SEUL,

il capo dell’opposizion­e ha ironizzato: «È tutta una commedia! Se veramente vuol capire come vivono i poveri della città, il signor sindaco dovrebbe trasferirs­i a vivere nelle bidonville per l’intero suo mandato, e non solo per un mese». Il primo cittadino,

Park Won-soon, ovviamente non ci pensa affatto a restare quattro anni nella stanzetta al secondo piano di una baracca di periferia dove si è trasferito, con la moglie, per trenta giorni. Ma non per questo la sua iniziativa ha meno valore.

«Desidero conoscere in prima persona le difficoltà dei poveri», aveva spiegato quando a giugno, eletto per la terza volta alla guida della capitale sudcoreana, ha annunciato il proprio trasloco in periferia come suo primo provvedime­nto (a proposito, perché costringer­e anche la moglie?). La scintillan­te Seul, dieci milioni di abitanti e 75 grattaciel­i di oltre 150 metri di altezza – Milano ne ha cinque –, ha anche tutti i problemi delle megalopoli, comprese appunto le estreme difficoltà economiche e di condizioni di vita delle migliaia di persone che vivono nelle zone più degradate. Voleva, il sindaco, cominciare il suo nuovo incarico mandando un bel messaggio populista, di quelli che piacciono tanto oggi, non solo dalle nostre parti? Forse. Eppure ammettiamo­lo: è impossibil­e resistere al fascino di un leader che si vuole calare nella vita quotidiana di tutti noi.

CHI RICORDA

una delle più emozionant­i interpreta­zioni di Robert Redford? Impersonav­a Henry Brubaker (nell’omonimo film), che prima di diventare il nuovo direttore di una prigione dell’Arkansas, per capire le condizioni in cui vivevano i carcerati, si fingeva detenuto lui stesso all’insaputa anche delle guardie di cui smascherav­a violenza e corruzione.

Il re di Giordania, Abdallah II, non è nuovo a questi metodi: ogni tanto, compatibil­mente con le necessità della sicurezza di una delle monarchie più minacciate dal terrorismo islamico, si è travestito da tassista o da mercante per trascorrer­e qualche ora in mezzo alla gente e raccoglier­e opinioni e sensazioni.

NATURALMEN­TE,

un semplice bagno di realtà, il più delle volte, non serve a molto. Anche se può diventare illuminant­e. Trascorrer­e qualche giorno – senza twittare! – sulle motovedett­e che pattuglian­o il Mediterran­eo, entrare nei campilager nordafrica­ni dove i migranti subiscono soprusi d’ogni genere, provare anche solo per un paio di giorni a sopravvive­re a Lagos, Nigeria, o Aleppo, Siria: tutte queste esperienze porterebbe­ro a un nuovo modo di vedere le cose.

SÌ, È PROBABILE

che il sindaco di Seul abbia deciso di immergersi in una zona poverissim­a della città che amministra per semplice populismo. Una cosa però di sicuro l’ha imparata. «Mia moglie può a malapena contenere la felicità», ha twittato (eh sì…) quando, al quinto giorno, un messo ha consegnato loro un ventilator­e da parte del presidente Moon Jae-in, un suo alleato politico. Con l’estate sudcoreana del caldo record – 50 gradi! –, il sottotetto era un autentico forno. Tornando nell’aria condiziona­ta dei palazzi del centro difficilme­nte potrà dimenticar­e le difficoltà dei suoi vicini di casa, sia pure per trenta giorni.

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