Piero Angela: «Papà partì col botto»
PIERO ANGELA NON
è mai stato un patito di automobili: «Sono poltrone coperte». Fine. L’importante è che si muovano in modo affidabile e confortevole. Questo non significa che con le macchine non abbia avuto a che fare. Fin da piccolo. L’ingresso di un’auto nel suo orizzonte è stato col botto. Era il 1938 e aveva 10 anni. «Mio padre, psichiatra e serissimo professore, che ne aveva 63 e non aveva mai guidato in vita sua, decise di prendere una Topolino. Due addetti del concessionario la portarono nel cortile e naturalmente divenne un’attrazione per tutto il caseggiato.
Per l’inaugurazione lui salì con mia mamma a fianco come passeggera d’onore. Mise la marcia e schiacciò l’acceleratore al posto della frizione.
Partì come un tappo di champagne contro una serranda metallica, con un boato che attirò sui balconi i pochi che già non c’erano. Mia madre uscì con un ginocchio pesto, il cappello a tese larghe di traverso, scusandosi con tutti i presenti. Molti anni più tardi, forse seguendo le tracce paterne, un altro botto lo fece lui. «Credo fosse il 2000: ero in autostrada, stavo tornando dall’Aquila e ho sentito di colpo che mi stava venendo un sonno fortissimo. L’ultima cosa che ricordo era che guardavo sulla destra per cercare la prima piazzola dove fermarmi a riposare». È finita diversamente: è andato dritto. A occhi chiusi, fino a sfracellarsi contro il casello. Un casello fortunato, però: ha centrato l’unico punto tra due biglietterie dove era stato piazzato, per un test, un nuovo guard raid telescopico progettato per attutire gli impatti violenti. Il suo lo è stato. «È arretrato di un paio di metri, io mi sono rotto tre costole ma sono riuscito a scendere da solo dalla mia auto distrutta». Ha dovuto rimborsare per intero il guard rail sperimentale, «ma sono stati i soldi meglio spesi della mia vita».