I nostri desideri sono sempre meno nostri
Ammettiamolo: ci stiamo consegnando agli algoritmi
Oggi Google, Facebook, Netflix orientano sempre più le nostre scelte. Domani l’Internet delle cose (il frigo che ci ordina di comprare il latte) plasmerà la nostra volontà. Forse non possiamo ribellarci a questa rivoluzione, ma dobbiamo almeno acquisire liberamente consapevolezza
OGGI, ALMENO FRA INTELLETTUALI
illuminati e nativi digitali, non c’è più spazio per la magia. Sembra scontato. Ma è davvero così? C’è chi ne dubita. «Abbiamo adottato un rapporto fideistico con gli algoritmi», scrive Ed Finn, direttore del Center for Science and the Imagination all’Università dell’Arizona, in Che cosa vogliono gli algoritmi (Einaudi). «Gli algoritmi ci guidano nelle città, ci raccomandano i film da vedere, forniscono risposte alle nostre ricerche. Li immaginiamo eleganti, semplici ed efficienti, mentre sono coacervi disordinati che mettono insieme diverse forme di lavoro umano, risorse materiali e scelte ideologiche. Abbiamo velato le realtà degli algoritmi dietro una nozione mistica del calcolo come verità universale».
Ci siamo mai chiesti che cosa sono e come funzionano gli algoritmi? Potrebbe sorprende sapere che spesso nemmeno chi li crea ha un’idea precisa di che cosa accade nelle “scatole nere” in cui inserisce le istruzioni. Ciononostante, perché dovremmo porci il problema?
In fondo ci piace, ci fa comodo, farci orientare nelle nostre scelte da Google, Facebook, Amazon, Siri.
Sediamo contenti, o perlomeno passivi, sulle panche di questa chiesa planetaria, sedotti, come sostiene il filosofo francese Erik Sadin ne La silicolonizzazione del mondo (Einaudi), dalla percezione della rete prodotta dall’era dell’accesso, quella che ha caratterizzato il periodo internet della storia digitale: informazioni a costo zero e comunicazione enormemente facilitata, con relativo entusiasmo generale. Ma l’era dell’accesso sta cedendo il passo all’era della misurabilità della vita. «Il digitale finora era strutturato soprattutto per