Corriere della Sera - Sette

Gianrico Carofiglio: «Scuola guida in divisa»

- RICORDI PILOTATI DA STEFANO RODI di destinazio­ne. Non di una bellezza mozzafiato. Verso il confine dell’Angola si esce dalla

GIANRICO CAROFIGLIO

è faticosame­nte arrivato alla patente nel 1980. Il suo approccio alla guida era scadente, anche se lui sentiva di essere un automobili­sta superiore alla media. «È un’abitudine confermata da vari studi sulla psicologia sociale

La vera scuola guida, sul campo, l’ha fatta l’anno dopo durante il servizio militare. Lì si è ritrovato nei panni, che all’inizio gli andavano stretti, di autista:

degli italiani. Io non facevo eccezione». «Dovevo anche guidare i camion». Un colpo di scena inaspettat­o. Ha vissuto pericolosa­mente, anche chi si trovava a bordo dei mezzi condotti da lui. Alla fine, comunque, ha ottenuto una patente D: «Potevo guidare anche i pullman». Nelle forze armate, evidenteme­nte, si prendeva quel che passava il convento. Un altro militare, anche lui addetto alla guida, con cui Carofiglio andava a fare la consegna della posta, era invece un pilota vero, di rally. Prima di tornare in caserma, a volte allungavan­o un po’ il giro, con derapate e testacoda. «Avevo imparato a farlo anch’io. Ora posso dirlo perché ormai è scattata la prescrizio­ne». A conferma della sua sprovvedut­ezza al volante, prima di fare la scuola guida militare, aveva compiuto anche un viaggio di 40 chilometri con freno a mano in parte tirato. Impresa diversa, e più gloriosa, è stata un trasferime­nto notturno su una jeep, in Namibia, al buio, dove

lodge era facile, a cominciare dalla guida a destra e, soprattutt­o, perché è riuscito a raggiunger­e sano e salvo il gli impala attraversa­vano la strada all’improvviso. Quelli sono i 300 chilometri che si sono fissati di più nella sua memoria. «È un Paese civiltà e si entra in un mondo ancestrale».

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