Corriere della Sera - Sette

Il migliore della settimana: Nicoletta Tozzi, 52 anni

- Di essere stata io a chiedere allo di nascondere la sciarpa o di non urlare quando divertivo. Correvo con la stessa Contributo giudiziosa­mente scelto da Micol Sarfatti

BABBO LO SO (ORA CHE SONO ADULTA),

con lo zio. Non so come fosse nato questo mio interesse per il calcio. Conoscendo­mi, sono quasi certa zio di andare lassù sul curvone con lui e il signor Fernando. Conservo ancora la prima prova tangibile di quell’amore: la tessera dell’abbonament­o al mio primo campionato di Serie A!

NOI ARRIVAVAMO

sempre un’ora prima del fischio d’inizio: mi piaceva osservare i tifosi, i loro colori, lassù in cima alla curva fatta con assi in legno, perché la nostra squadra era una provincial­e e non aveva uno stadio da Serie A. A 14 anni ho iniziato ad andare alle partite da sola con le amiche e ho finalmente partecipat­o a cori e coreografi­e. Tu non lo sapevi, ma di me ti fidavi. Ti fidavi a tal punto, che pur non che ai tuoi tempi c’erano altre priorità. Quando eri giovane tu, a guerra appena finita, mica si poteva perdere tempo dietro a una palla o a correre per strada. Ora capisco che ci sei sempre stato, anche se seguivi solo da lontano questa mia passione per tutto ciò che era sport. Tu, la domenica, ripartivi con il tuo camion, mentre io, già a nove anni, andavo allo stadio conoscendo le regole del calcio, mi portavi in trasferta a seguire le sfide più importanti. Mi chiedevi solo andavamo in gol. Silenzioso, eri al mio fianco. Ti vedo solo ora. Per anni ti ho sentito assente, perché mi facevi fare tutto quasi da sola, invece c’eri, con la forza di quella fiducia illimitata che mi hai sempre trasmesso. Io ti ho ripagato mettendo tutta me stessa in ciò che facevo. Tu mi hai insegnato a inseguire i miei sogni. A 12 anni, ho deciso di allenarmi con le amiche che facevano atletica, non ricordo di averti mai chiesto di poter andare

Correre con passione

in pista. Ci sono sempliceme­nte andata. Correvo, faticavo e mi passione assoluta che mi hai trasmesso tu.

A 18 ANNI

ho vinto il primo titolo italiano assoluto sugli 800 metri e, confesso babbo, ho avuto paura. C’era la tv, tante persone sulle tribune e io non ero ancora pronta a farmi vedere. Poi, un po’ alla volta, ho imparato a non avere timore di tirare fuori la mia forza.

L’unica cosa che contava era amare quello che facevo. Anche questo me lo hai insegnato tu, con l’esempio.

Guidavi 16 ore al giorno, su e giù per l’Italia, ma ti brillavano gli occhi, quando parlavi del tuo lavoro di camionista. Tu mi hai insegnato che la fatica non esiste se insegui il tuo sogno. Ora sono una donna, guardo indietro e vedo quanto sia stato bello, per quella ragazzina, fare sport con spirito coraggioso e indomito. Grazie babbo.

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