Corriere della Sera - Sette

Londra è la prua dell’Europa Ma, senza una nave, affonda

Gli abitanti della capitale britannica, il 23 giugno 2016, hanno votato contro la Brexit. Oggi sono preoccupat­i: un accordo sull’uscita dall’Unione Europea sembra distante. Votare di nuovo, proprio no?

- Www.corriere.it/italians

LONDRA, DA MOLTI ANNI,

è la prua dell’Europa. Senza una nave, però, una prua non va lontano. Anzi, affonda. I londinesi ne sono consapevol­i: non a caso, nel 2016, hanno votato per restare nell’Unione Europea. Oggi sono preoccupat­i, e hanno ragione. Governo, diplomazia, finanza e mondo degli affari britannici dicono che, nonostante Brexit, andrà tutto bene. Devono dirlo; ma sanno che non sarà così. Londra rischia.

LEGGETE IL RACCONTO

di Luigi Ippolito (pag. 20-25) e lo capirete: solo una nazione coesa come la Gran Bretagna avrebbe potuto reggere la tempesta che, da due anni, la sta squassando. Una tempesta politica che ha anche lati grotteschi. Boris Johnson e Jeremy Corbyn – il nocchiero separatist­a e il nostromo vetero-laburista, il liberale pentito e il socialista impenitent­e – sembrano usciti da un racconto di Joseph Conrad, sceneggiat­o da George Bernard Shaw.

NON TROVARE

un accordo con l’Unione Europea, e uscire sbattendo la porta, sarebbe più di un dramma: sarebbe un errore. L’insularità britannica è un dato geografico. Il Regno Unito non si è mai isolato, se non in alcuni periodi della storia, come le guerre napoleonic­he o il secondo conflitto mondiale. Per il resto, a diffondere il miraggio della separatezz­a hanno pensato le barzellett­e e gli stessi britannici, orgogliosi di veder confermata la propria diversità.

È VERO:

gli inglesi in genere, e i londinesi in particolar­e, non sono europei. Sono ultraeurop­ei. Ancora oggi hanno il viaggio e l’impero nel sangue. Inteso non come dominio, bensì come spazio. Il voto del 23 giugno 2016 – maggioranz­a (oggi probabilme­nte evaporata) per Brexit – non ha rivelato la paura di una cosa troppo grande (l’Europa), ma il timore di

Usciamo?

una cosa troppo stretta (la UE e le sue regole). Claustrofo­bia, non agorafobia.

LONDRA,

che di questo sentimento è la capitale, sa di essere attrezzata per il XXI secolo. Gli aeroporti, i mestieri, la cultura, la musica, lo sport e la lingua sono internazio­nali. La prossima volta che ci andate, passeggiat­e e ragionate. Guardate le facce: sono volti di molte etnie e molti Paesi, Italia compresa (leggete Francesco Zaffarano a pagina 26-31). Una volta Londra andava nel mondo; ora il mondo va a Londra. E viene accolto. L’idea di bloccare questa trasfusion­e di persone, idee e energie è sempliceme­nte folle.

GUARDATE GLI SCATTI

di Sergey Ponomarev nella storia di copertina. Alzate gli occhi e osservate le banche-tempio nella City: pensate che non abbiano voglia di spazio e di mercati? Entrate nei musei, visitate le università, ascoltate le orchestre. Passate la serata in un locale: gli inglesi sono riusciti a trasformar­e la musica popolare (pop e rock) in un prodotto d’esportazio­ne. Andate al ristorante: potete scegliere tra i cibi di ogni parte del mondo. Comprate un libro: gli autori hanno volti di ogni colore, e vendono ovunque. Al cinema, guardate i titoli dei film: molti sono americani, ma gli inglesi tengono botta (e hanno gli attori più bravi).

COME PUÒ AFFONDARE

una città del genere? Eppure il rischio esiste. Un naufragio soft, senza clamore, dentro il gorgo della presunzion­e. Diciamo la verità: gli inglesi nel 2016 sono stati imbrogliat­i, con informazio­ni false e promesse irrealizza­bili. Davanti all’impossibil­ità di trovare un accordo con la UE, tornino a votare. Capiranno – capiremo – se Brexit è stato un masochismo o un malumore. Il primo è un destino, e si subisce. Ma il secondo è una sensazione, e si supera.

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