È musulmana, insegna ai bimbi hindu Scontenta tutti ed è felice
È COME SE DENTRO DI LEI CONVIVESSERO
Montecchi e Capuleti, ma, tutt’attorno, nessuno fosse veramente pronto ad accettare la convivenza. Anum Agha è una giovane donna (26 anni) di Karachi, megalopoli portuale nel sud del Pakistan.
È musulmana ma da un anno insegna ai bambini hindu. Che cosa spiega in classe? «I loro diritti di base: dal diritto all’istruzione a quello di non essere discriminati. Non hanno nemmeno idea di cosa siano».
Fin qui, in fondo, niente di veramente speciale. Senonché,
tutto ciò avviene in una baraccopoli della città dove, dagli Anni 60, vive un piccolo insediamento hindu composto da una novantina di famiglie, circondato da un’intera comunità musulmana
(il Pakistan lo è al 95 per cento).
E qui le cose si complicano. Anum Agha minimizza e racconta – in buon inglese – che lei e gli allievi festeggiano insieme le reciproche festività religiose. Che ogni mattina si salutano rispettosamente: «Io dico Salaam, loro rispondono Jai Shri Ram», ognuno con le parole della propria fede. Ma il problema resta. La sua classe, infatti, fa lezione all’interno di un vecchio tempio hindu mentre da qualche anno alcuni residenti musulmani dell’area hanno cominciato a far girare la proposta di costruire proprio lì una moschea. Alcune baracche sono andate in fiamme, qualcuno è stato anche energicamente invitato a trasferirsi altrove.
ANUM AGHA, PERÒ,
di andarsene non ha nessuna intenzione. A Karachi ha studiato sociologia, ha fatto anche un master: «Un giorno ho visto per strada questi ragazzini vestiti di stracci e coperti di polvere. Facevano l’elemosina e non immaginavano possibile una vita diversa. Ho pensato di dover fare qualcosa». Questo è il Paese in cui hanno sparato alla giovanissima Malala (poi premio Nobel per la Pace), ferita alla testa da uomini che non volevano studiasse. Nelle aree tribali lungo il confine con l’Afghanistan ci vuole coraggio, soprattutto se di sesso femminile, anche solo ad avvicinarsi a una scuola. Qui a Karachi in molti hanno fatto sapere ad Anum Agha di non essere affatto d’accordo con le sue scelte.
GLI HINDU DELLO SLUM,
che pure vivono in catapecchie di legno senza elettricità né gas, l’hanno – almeno inizialmente – accolta con sospetto: una musulmana come maestra, che per di più toglie i piccoli dall’attività di elemosina... Chi sembra non capire ancora sono i musulmani. Anum è religiosa, canta preghiere pure su YouTube e perfino nei contest televisivi («Dio mi ha dato la voce»). Nessuno può rimproverarle nulla, eppure
i parenti («Non i genitori», precisa) e tanti amici gliel’hanno detto: perché insegni agli hindu e non a chi crede nell’Islam?
Qualcuno l’ha anche sottolineato con veemenza. Paura? Poca, dice. Ma reale o meno che sia la minaccia, chi non ne avrebbe al suo posto? Ammettiamolo: Anum ci stupisce. Come tutti coloro che s’impegnano e mettono a rischio se stessi con un obiettivo assai poco egoistico. Ciò che colpisce di più è la semplicità con cui queste scelte vengono fatte: «Se vuoi cambiare la società devi cominciare a cambiare i comportamenti delle persone», mi spiega al telefonino. Lei, di fare «la cosa giusta», è felice. Poco importa che sia una goccia nel mare.