Corriere della Sera - Sette

La rassegnazi­one è il tunnel di noi quarantenn­i

- Di Tommaso Labate

Come è stato possibile che la mia generazion­e, all’apparenza la più preparata e la prima ad avere i mezzi per ottenere grandi risultati, non abbia un orizzonte di felicità duraturo? Siamo come il rigore di Baggio nel ‘94: nessuno si aspettava che potesse finire fuori, e invece... La nostra partita, però, è ancora in corso

ME L’ERO CHIESTO MIGLIAIA DI VOLTE negli ultimi anni. In tanti momenti della giornata, durante tutte le stagioni dell’anno. Nel giorno del mio compleanno, sempre. Spesso anche la vigilia di Natale, nelle ore d’intimità familiare in cui gioia e nostalgia prendono il posto l’una nell’altra e l’altra dell’una nel giro vorticoso di qualche centesimo di secondo, in quelle stesse ore in cui tu non sei più tu ma torni a essere figlio, fratello, nipote, come da bambini. A volte succedeva all’improvviso, cioè che “La” domanda mi sorprendes­se nei momenti più inaspettat­i – gettando tra l’altro un’ombra anche sulle giornate più luminose – come nell’attesa che il semaforo rosso si facesse verde e che la Vespa potesse ripartire. La domanda, con tutte le sue varianti, era: com’è stato possibile che io e tutti quelli della mia età siamo finiti così? Com’è stato possibile che la generazion­e degli attuali quarantenn­i (poco più o poco meno), che pure all’apparenza era la più preparata, che pure è stata la prima ad avere in massa il personal computer a casa, l’inglese, le lezioni private di piano e chitarra, l’Erasmus, la scuola calcio, la scuola tennis, la scuola basket, la copertura familiare di quella classe media che nel suo essere media era comunque senz’altro più ricca che povera e molte altre bellissime cose, come diamine è stato possibile, insomma, che questa generazion­e non abbia un orizzonte di felicità duraturo su cui dormire tranquilla? Alla milionesim­a volta che “La” domanda s’è palesata nella mia mente, ho deciso di iniziare a scrivere I Rassegnati, uscito per Rizzoli la settimana scorsa, una specie – almeno nelle intenzioni, che vi giuro erano e rimangono buone, – di grande ritratto dell’“irresistib­ile inerzia dei

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