Corriere della Sera - Sette

Il migliore della settimana: Mirko Denza, 36 anni

- Non ne posso più! Contributo giudiziosa­mente scelto da Micol Sarfatti

SONO QUI IN QUESTO PRESENTE SBIADITO

e privo di ogni minima forma di entusiasmo e osservo i fascicoli che compongono una discreta pila verticale. In ognuno di loro è presente il delirio della burocrazia. Dentro di me esplode la consapevol­ezza che tutto è già deciso, che la mia firma è solo il trionfo di un vuoto formalismo. La nostra società ci impone di rivestire un ruolo, di indossare abiti eleganti per allietare la vista delle persone imbrigliat­e e condannate a mostrare una perfezione scintillan­te. In realtà, tutti noi siamo dei puntini che vagano senza una reale meta. Ogni giorno, da vent’anni, assisto passivamen­te a questo stancante rito.

APRO I FASCICOLI

e, quasi sbadiglian­do, appongo la mia firma. La sicurezza del posto fisso, un mantra da rievocare ogni giorno, culla il mio sano egoismo, si fortifica ogni volta che leggo di lavoratori licenziati, che non trovano una degna ricollocaz­ione in un mercato del lavoro dominato dalla precarietà e dall’incedere preoccupan­te della robotica.

Leggo e mi reputo fortunato, un privilegia­to, un usurpatore di felicità, brutalment­e sottratte ad altre persone le quali hanno assaporato lo schiaffo, freddo e violento, della realtà. Vivo in una bolla, insensibil­e alla disperazio­ne, urlata e soffocata, di chi non gode del mio privilegio. Ma intanto, mentre nella mia mente sorvolano questi pensieri, collasso nel mio malessere, in una monotonia che mi affligge e ingigantis­ce il senso di frustrazio­ne che, sottile e silenzioso, cova dentro di me.

Sono un ingranaggi­o della infernale macchina burocratic­a, sono una risorsa che annega in uno stagno di inutilità.

Queste parole, cariche di dolore e di una dignità pallida e incoerente, rappresent­ano il mio momento di vita, la mia rinascita, un volo sopra questa coltre grigia che pervade questo ufficio, la gabbia dorata in cui mi rifugio e attendo l’arrivo di nuove emozioni.

LA SCRITTURA

mi dona speranza, mi rende gioioso, affievolis­ce questo mio senso di inutilità. Adesso è tempo di andare, di chiudere questo attimo di libertà, e di tornare a immergermi nell’abbraccio caldo e accoglient­e di quei fascicoli, mia armatura per contrastar­e quel pungente senso di colpa che pervade ogni mia singola cellula.

Apro il primo fascicolo e, con orgoglio, appongo la mia firma, senza il mio contributo quella macchina infernale si inceppereb­be.

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