Nell’epoca dei muri, ci vorrebbe pietà per i ponti
necessario anche dargli un’ambientazione culturale e sociale.
Difficile, molto difficile. C’è un tale deserto, là fuori! E capita che i ponti crollino a Genova come a Calcutta. E quanti viadotti, cavalcavia, passanti, sopraelevate sono già crollati mietendo vittime e lasciandoci nello stupore e nel dolore? E quanti stanno scricchiolando proprio adesso, in questo momento?
Franz Kafka in una delle sue prose misteriosamente lampeggianti si è figurato il ponte come una persona. Le mani di qui; i piedi di lì. I passanti calcano i piedi sulle sue spalle. Ed ecco che, non sopportando più il dolore, lascia la presa. Crolla lui e tutti quelli che gli stavano sopra.
Precipizio improvviso e rovinoso. Forse anche ai ponti veri e propri può capitare qualcosa del genere, se non gli si presta cura, se non ci preoccupa del dolore che tutti i giorni infliggiamo alle loro schiene pietrose.
Ci vorrebbe pietà per i ponti. Una pietà civile.
Ma, come l’arte della congiunzione, si tratta di un sentimento che scarseggia. I nostri arsenali emotivi ne sono rimasti vuoti.
Eppure avremo sempre la necessità della congiunzione. Basterebbe prendere esempio dal mare. È lui il vero ponte tra le terre.
Franz Kafka li immaginava come persone, con le mani da una parte e i piedi dall’altra. I ponti rappresentano unione e allerta, inarcatura che sorregge e precipizio improvviso. Bisogna edificare meglio “il pensiero del ponte”. Oggi è assolutamente necessario
Lo dimostra in massimo grado lo Stretto di Messina. Basta evocare Scilla e Cariddi per sentire un brivido lungo la schiena. Quanti secoli e quanta forza mitica dietro questi due nomi. E se hanno sempre colloquiato tra loro, lo si deve al mare.
Di un ponte tra la Calabria e la Sicilia se ne parla quasi da sempre. Per fortuna non è mai stato realizzato. Anche perché proprio lì non ce n’è proprio bisogno.
Basta un posto-ponte su un traghetto e si è di là. Ma se un posto-ponte, invece, non c’è, beh, allora
bisogna edificare il pensiero del ponte. Che lo si voglia o meno, è assolutamente necessario.
«Vivere», ha scritto J. Rodolfo Wilcock, «è percorrere il mondo / attraversando ponti di fumo; / quando si è giunti dall’altra parte / che importa se i ponti precipitano. / Per arrivare in qualche luogo / bisogna trovare il passaggio, / e non fa niente se scesi dalla vettura / si scopre che questa era un miraggio».
scrittore e critico letterario, si è occupato prevalentemente della tradizione del Novecento letterario italiano. Ha curato e introdotto il Meridiano Mondadori dedicato a Raffaele La Capria. Collabora con Il Mattino