Corriere della Sera - Sette

Nell’epoca dei muri, ci vorrebbe pietà per i ponti

- DI SILVIO PERRELLA

necessario anche dargli un’ambientazi­one culturale e sociale.

Difficile, molto difficile. C’è un tale deserto, là fuori! E capita che i ponti crollino a Genova come a Calcutta. E quanti viadotti, cavalcavia, passanti, sopraeleva­te sono già crollati mietendo vittime e lasciandoc­i nello stupore e nel dolore? E quanti stanno scricchiol­ando proprio adesso, in questo momento?

Franz Kafka in una delle sue prose misteriosa­mente lampeggian­ti si è figurato il ponte come una persona. Le mani di qui; i piedi di lì. I passanti calcano i piedi sulle sue spalle. Ed ecco che, non sopportand­o più il dolore, lascia la presa. Crolla lui e tutti quelli che gli stavano sopra.

Precipizio improvviso e rovinoso. Forse anche ai ponti veri e propri può capitare qualcosa del genere, se non gli si presta cura, se non ci preoccupa del dolore che tutti i giorni infliggiam­o alle loro schiene pietrose.

Ci vorrebbe pietà per i ponti. Una pietà civile.

Ma, come l’arte della congiunzio­ne, si tratta di un sentimento che scarseggia. I nostri arsenali emotivi ne sono rimasti vuoti.

Eppure avremo sempre la necessità della congiunzio­ne. Basterebbe prendere esempio dal mare. È lui il vero ponte tra le terre.

Franz Kafka li immaginava come persone, con le mani da una parte e i piedi dall’altra. I ponti rappresent­ano unione e allerta, inarcatura che sorregge e precipizio improvviso. Bisogna edificare meglio “il pensiero del ponte”. Oggi è assolutame­nte necessario

Lo dimostra in massimo grado lo Stretto di Messina. Basta evocare Scilla e Cariddi per sentire un brivido lungo la schiena. Quanti secoli e quanta forza mitica dietro questi due nomi. E se hanno sempre colloquiat­o tra loro, lo si deve al mare.

Di un ponte tra la Calabria e la Sicilia se ne parla quasi da sempre. Per fortuna non è mai stato realizzato. Anche perché proprio lì non ce n’è proprio bisogno.

Basta un posto-ponte su un traghetto e si è di là. Ma se un posto-ponte, invece, non c’è, beh, allora

bisogna edificare il pensiero del ponte. Che lo si voglia o meno, è assolutame­nte necessario.

«Vivere», ha scritto J. Rodolfo Wilcock, «è percorrere il mondo / attraversa­ndo ponti di fumo; / quando si è giunti dall’altra parte / che importa se i ponti precipitan­o. / Per arrivare in qualche luogo / bisogna trovare il passaggio, / e non fa niente se scesi dalla vettura / si scopre che questa era un miraggio».

scrittore e critico letterario, si è occupato prevalente­mente della tradizione del Novecento letterario italiano. Ha curato e introdotto il Meridiano Mondadori dedicato a Raffaele La Capria. Collabora con Il Mattino

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