Corriere della Sera - Sette

Il migliore della settimana: Elisa M., 40 anni

- Elisa M. è, evidenteme­nte, un nome di fantasia, scelto dalla redazione, in accordo con l’autrice Contributo giudiziosa­mente scelto da Micol Sarfatti

SONO UNA DONNA LAUREATA

che lavora, sposata e con dei bellissimi figli. Ma con un buco nero nel cuore: nell’infanzia e per sempre sono stata vittima di un padre pedofilo. Penso che l’opinione di chi porta le ferite della violenza subita possa essere significat­iva. Vi racconto la mia storia dopo aver letto l’editoriale del direttore di 7 (Un bravo regista dev’essere una brava persona?) sul numero in edicola il 27 settembre 2018. Non potete immaginare quante volte io mi sia chiesta: «C’è qualcosa che posso salvare di mio padre? Devo buttare via tutto? Anche tutte le cose belle che ha fatto? Anche tutta la sua vita profession­ale? Tutto è sporcato?». Ho cercato di darmi una risposta partendo da lontano.

Ciò di cui le vittime di violenza hanno bisogno, come l’aria che respirano, è un giudizio di colpevolez­za nei confronti di chi ha fatto loro del male.

NON IMPORTA

che i violentato­ri siano condannati a due, cinque o dieci anni di carcere, non importa nemmeno che scontino una pena. L’importante è che vengano processati e su di loro venga emesso un giudizio pubblico di colpevolez­za. Questo è assolutame­nte necessario per le vittime. Dopo, ma solo dopo, possiamo anche continuare ad ammirare la produzione del regista o scrittore o artista che sia. Ovviamente per gli artisti del passato nulla si può fare, ma per chi è vivo forse sarebbe necessario usare molta cautela e un po’ di delicatezz­a, guardando alle vittime, in attesa proprio di quel giudizio, se mai ci potrà essere. Per quel che mi riguarda, purtroppo non ho prove per citare in giudizio mio padre: le ferite che porto con me ogni giorno non sono sufficient­i. Non avrò mai la possibilit­à di ascoltare un giudizio pubblico su di lui. Morirà un giorno, tranquillo, come profession­ista conosciuto e stimato da tutti nella mia città. Non è un artista, ma la sostanza è la stessa.

E ALLORA

per quel che riguarda la mia vita personale, la risposta alla domanda è:

non ho film da oscurare, libri da buttare o quadri da distrugger­e, ma di mio padre butto comunque via tutto. Non riesco a salvare nulla.

E questo ha delle conseguenz­e quotidiane e molto pratiche per la mia vita e per la vita di chi mi sta vicino. Da un punto di vista collettivo, io non dico di buttare tutta l’arte di artisti di dubbia moralità. Ma penso, che, prima di parlare di questo argomento, dobbiate avere il coraggio di guardare negli occhi una vittima e provare a “sentire” con il suo cuore qualsiasi risposta voglia dare. Se non scegliamo di metterci tutti dalla parte delle vittime, non riusciremo mai a farle uscire dal silenzio e non potremo dare risposta alla domanda dell’editoriale.

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