Corriere della Sera - Sette

Il direttore della Reggia di Caserta deve viverci dentro (come Felicori)

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«SONO UN DIRETTORE

che ha vissuto a Caserta, ne ha respirato l’aria, ne ha condiviso modi di vivere, ha dormito qui: non si può fare il direttore della Reggia se non così». Nella chiacchier­ata finale con Francesco Vastarella e i colleghi del Mattino, l’ormai ex direttore della Reggia di Caserta Mauro Felicori ha voluto togliersi quel sassolino dalla scarpa: nei tre anni («troppo pochi») in cui ha cambiato faccia alla residenza reale di Borbone «ha dormito qui».

Un dettaglio che non poteva sfuggire a chi negli anni ha amato il magnifico complesso monumental­e e si è fatto il sangue amaro a vedere il suo degrado. Come la nostra Alessandra Arachi che nell’aprile 2013 scriveva sul Corriere di andirivien­i per i viali di auto e moto, ponteggi montati con enorme ritardo dopo troppi crolli, tuffi nella fontana di Diana e Atteone. Per non dire degli abusivi che si infilavano «persino dentro le stanze degli appartamen­ti» per vendere «guide taroccate e tarocchi della felicità, ombrelli, palloncini, biglietti per i ristoranti, persino numeri da giocare al lotto». Non ha fatto nomi, il direttore uscente che si era trasferito a Caserta «in modo da non dover fare il pendolare e poter arrivare facilmente in ufficio alle 7.30 e restare fino alle 20.00/21.00», come scrisse Il Fatto ,e durante i weekend invece di torna- Veduta della Reggia di Caserta. Dal 2015 al 31 ottobre 2018 è stata diretta da Mauro Felicori

re in famiglia a Bologna si faceva raggiunger­e dalla moglie per restare sul posto e semmai visitare i dintorni. Non ha fatto nomi ma ai casertani è tornata in mente una polemica scoppiata nel 2013 tra l’allora sindaco Pio Del Gaudio, finito sulle prime pagine per aver speso 70.000 euro (settantami­la!) per piazzare davanti alla Reggia un corno «russo, tuosto, stuorto» alto 13 metri, e l’allora sovrintend­ente Paola David: «Qualunque cosa chiediamo non ci ascolta. Vive a Roma, la signora. Viene giù un paio di volte la settimana. Non vede nessuno. Non parla con nessuno». «Mi rifiuto di rispondere ad accuse così assurde, infamanti, meschine», rispose lei. Che facesse la pendolare, come del resto altri suoi colleghi, era però difficile da negare.

Ecco, dopo aver anticipato di un anno l’addio di Fenicori segandogli il contratto («scelta inattesa: un dispiacere profession­ale ma anche un danno per tutti. Per il bene della Reggia sarebbe stato meglio inviare già un anno fa chi avrebbe dovuto sostituirm­i per impadronir­si del mestiere») sarebbe bene che ora il ministro dei Beni Culturali Alberto Bonisoli mostrasse d’aver capito almeno questa lezione: chiunque scelga (speriamo bene…) lo mandi con l’impegno a vivere lì. Sul posto.

SE MAURO FELICORI

se n’è andato tra mille applausi, ringraziam­enti e onori è stato infatti, dice lui, «perché per tre anni sono stato presente. Lì.».

È così che ha avuto modo di vedere le cose che non andavano, scoprire i furbetti del cartellino, allontanar­e gli abusivi, avviare nuovi progetti, vincere la battaglia con quella parte del sindacato che gli rimproverò di lavorare troppo…

Pochi dati dicono tutto: prima del suo arrivo la Reggia, uscita dalla classifica dei musei e dei siti più visitati d’Italia, fece segnare nel 2014 428mila visitatori di cui solo 217mila paganti. Nel 2017, tornata nella «Top Ten», aveva già raddoppiat­o le visite (839mila visite complessiv­e, di cui 498.690 paganti) e più che raddoppiat­o gli incassi. Il tutto in linea con un vecchio adagio: l’occhio del padrone ingrassa il cavallo.

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