Il poeta Guccini è riuscito a farci imparare i versi a memoria
UMBERTO ECO CONSIDERAVA
Francesco Guccini il cantante italiano più colto e ne ammirava, in particolare, la folle impresa di far rimare «Schopenhauer» con «amare». Succede in una delle canzoni più famose del cantautore, Il frate: «Dopo un bicchiere di vino, con frasi un po’ ironiche e amare / parlava in tedesco e in latino, parlava di Dio e Schopenhauer». Se gli ricordate l’elogio di Eco, Guccini si schermisce dicendo che lui ha fatto solo le magistrali e che il più colto, caso mai, è Roberto Vecchioni, che viene dal classico e ci ha pure insegnato.
Ora un libro, Francesco Guccini. Can- zoni, dà ragione a Eco. Si tratta di una quarantina di testi puntigliosamente commentati da Gabriella Fenocchio, specialista di letteratura italiana (da Alfieri a Fenoglio).
Qualcuno dirà che è un’esagerazione, che un cantautore non può essere trattato come un poeta laureato. Obiezione fuori tempo massimo dopo il Nobel della letteratura a Bob Dylan (forse l’ultima cosa buona del premio svedese).
A leggere i testi nudi, senza musica, risalta il ragguardevole armamentario tecnico del cantautore: quartine di ottonari, endecasillabi o dodecasillabi, variamente rimati o assonanzati, strofe esastiche, distici baciati e altre posizioni del kamasutra poetico. Guccini è un verseggiatore nato. All’esame per diventare paroliere gli assegnarono il tema («Passa tutti i giorni») e lui lo risolse al volo: «Lei che passa tutti i giorni lungo la strada dei pensieri miei». Ha poi affinato quel talento con la passione per le sfide in ottava rima. Il suo avversario più temibile è stato Roberto Benigni. Nelle sfide in ottava rima bisogna lasciare all’altro concorrente parole che siano difficili da far rimare. Una volta Guccini lasciò a Benigni due rime impossibili: mirra e birra (a quel punto non c’erano più altre parole italiane che finiscono