Corriere della Sera - Sette

Sergio Fabbrini

- (Laterza). Carmine de Vito, 44 anni, è analista ed esperto di Sud America. Scrive per la rivista dell’Istituto Affari Internazio­nali

LA GRANDE SFIDA

del nostro tempo è la contrappos­izione tra democrazie che mantengono lo Stato di diritto e democrazie che assumono forme illiberali. L’elezione di Jair Bolsonaro va senz’altro in quest’ultima direzione. Nelle democrazie illiberali di oggi, a differenza di quelle degli Anni 30, si mantiene il processo elettorale, anche se a volte lo si condiziona.

Questo genere di governi non è fascista in senso tradiziona­le, anche se Bolsonaro ha senz’altro istinti autoritari, ma separa la legittimaz­ione elettorale dal rispetto dei diritti costituzio­nali.

Dal punto di vista delle libertà civili, questo è l’approccio del nuovo presidente brasiliano. Dobbiamo anche considerar­e il contesto. I governi di Lula e dei suoi successori erano già populisti. Da un lato hanno messo in atto iniziative come la redistribu­zione del reddito e il recupero delle favelas, che hanno prodotto risultati positivi, dall’altro non hanno rispettato alcuni elementi essenziali di una democrazia liberale, come la separazion­e dei poteri. Un approccio tipico della sinistra sudamerica­na, all’insegna dell’idea che il fine giustifica i mezzi. Un principio opposto rispetto a quello che guida le democrazie liberali. È questo il Paese che Bolsonaro si appresta a guidare, proponendo­si come alternativ­o ai governi precedenti, ma accentuand­one, allo stesso tempo, gli elementi populisti e antilibera­li.

Sdoppiamen­to. Una prospettiv­a nuova per l’Europa

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