Era quasi un monarca e non tollerava sbagli
Fu il leggendario direttore del Corriere della Sera e tenne a lungo testa al Duce. Luigi Albertini rimase alla guida del nostro quotidiano per 25 anni, coltivando le migliori firme e moltiplicando le vendite. Ecco la prima parte del suo ritratto (ovviamente ad opera di un corrierista) RACCONTA ETTORE JANNI,
l’editorialista prediletto che dopo la caduta del fascismo (dal luglio al settembre ’43) occupò la poltrona di Luigi Albertini alla testa del Corriere della Sera: «Lo si vedeva arrivare a mattino avanzato col suo passo sodo che pareva quello d’un camminatore in altura, un po’ curvo di spalle, la destra appoggiata al bastone che allora faceva parte, come l’abito di fattura sobriamente elegante, del gusto britannico. Sostava assai di rado nel corridoio e spariva difilato dietro la porta vetrata della sua stanza». Racconta Corrado Alvaro che nei due anni in cui lavorò come redattore sotto la sua direzione (dall’estate 1919 all’inizio del 1921), non lo incontrò mai di persona, conferendo con lui solo per telefono o per lettera: «Frequentatore di quasi tutta la brigata fiorita a Milano tra Boito e Giacosa, è stato nel suo giornale un vero e proprio padrone, coi suoi segreti di fabbricazione e le esigenze d’un capo di industria. Fin dal primo giorno Luigi Albertini (1871/1941). Nel 1900 diventò direttore del Corriere della Sera, di cui, in precedenza, aveva acquistato le quote della società
di lavoro al Corriere è un esercizio di adattamento e di sottomissione. Occorre che il soggetto sia saturo dell’atmosfera del giornale prima di poter muovere qualche passo. Tutto il suo ingegno è affinato ai bisogni del giornale e solo a quelli cui si deve dedicare interamente. Ricordo che fui colpito dall’attenzione con cui i poteri centrali erano informati dell’attività dei redattori e perfino del loro umore».
RACCONTA INDRO MONTANELLI
che con lui non lavorò mai, ma lo incontrò pochi mesi prima che morisse, dando così un corpo a un fantasma che, diceva, lo aveva perseguitato da quando, poco più che ragazzo, era entrato in via Solferino:
«La sua ombra