Per il Una maratona di tre ore Portobello di Antonella Clerici
LA NOSTALGIA,
avvertiva il pubblicitario più famoso della tv, Don Draper di Mad Men, è un’arma potente, ma da utilizzare con estrema delicatezza. Il marketing, specialmente negli ultimi anni, ha cercato di spremere il più possibile questo fenomeno consolidato.
La nostalgia infatti come ci spiegano le neuroscienze ha – per una serie molto complessa di ragioni – una cosa assolutamente magica: ci porta a rimpiangere un passato che in realtà non è mai esistito.
Non è una questione banale: basta pensare ai 40 milioni di paia di Adidas Stan Smith – una scarpa da tennis creata 50 anni fa che per gli standard odierni di design è assolutamente obsoleta – venduti dalla casa sportiva tedesca (la maggioranza di coloro che portano quelle scarpe sono nati dopo l’introduzione della scarpa e/o dopo il ritiro di Smith dal tennis giocato). I film di supereroi (personaggi dei fumetti nati 50, 60, 70 anni fa) che Hollywood sforna in continuazione sono un altro esempio del feticcio per la nostalgia. Il ritorno miliardario di Guerre Stellari (il primo film è del 1977) è un altro.
IL RITORNO DI PORTOBELLO,
una trasmissione inventata 41 anni fa da Enzo Tortora, è l’ultimo esempio di questa tendenza. Al posto di Tortora – Portobello fu tragicamente interrotto per quattro anni, 1983-1986, durante il clamoroso errore giudiziario di cui fu vittima il conduttore, e tornò Un momento della prima puntata di andata in onda il 27 ottobre. Antonella Clerici, 55 anni, condurrà la trasmissione fino a sabato 1° dicembre brevemente nel 1987 prima della morte del suo inventore – oggi c’è Antonella Clerici, e
la scelta della Rai è stata quella di mantenere l’impianto originale, dalle cabine di plexiglass alle centraliniste del mitico Centralone.
Plexiglass? Centraliniste? Nel 2018?
LA SCOMMESSA È QUELLA.
Gli inventori, amici e parenti riuniti (oggi si chiamano Carrambate ma sarebbe più corretto definirle Portobellate, cominciarono lì), il pappagallo muto: l’impianto del 1977 in un’Italia diversissima, in una tv diversissima (significativo che Mediaset abbia controprogrammato Maria De Filippi, che domina la tv di oggi come Enzo Tortora e Mike Bongiorno dominarono quella della fine degli Anni 70). Non è una scelta suicida, quella di Portobello, è per l’appunto una scommessa: Clerici è al di fuori di quella che negli ultimi anni è stata di fatto la sua comfort zone, l’allegra e un po’ caciarona cucina dell’ora di pranzo e le va reso l’onore delle armi, a giudicare dalla prima puntata, di un impegno anche fisico straordinario – Portobello mette tanta di quella carne al fuoco con tanti registri e tempi diversi da essere, credo, una delle trasmissioni più faticose da condurre della tv del 2018, in assoluto.
IL PROBLEMA
non è quello dell’Auditel, necessariamente, e della sconfitta contro De Filippi: il problema principale è che Portobello dominava un’Italia diversissima che si fermava, e Tortora faceva 28 milioni di spettatori. Sì, ventotto milioni. Tipo Italia in finale di Coppa del Mondo di calcio.
Clerici deve gestire dei tempi complicati: la prima puntata è durata più di tre ore,
non leggere da guardare (per me) via RaiPlay, e temo micidiali in diretta davanti al video in tempi nei quali non esiste la vecchia cara audience prigioniera.
Mi fa poca impressione invece il dissenso del sempre iracondo popolo di Twitter, almeno in questo caso – chi critica presunte “copiature” fatte da Portobello 2018 non sa (perché non ha visto l’originale) che sono stati gli altri nei decenni successivi a copiare Portobello del 1977.