Corriere della Sera - Sette

Van De Sfroos porta a teatro la sua musica dialettale

- INCONTRI LOMBARDI

UNA SERA DI TANTO TEMPO FA

un bambino guardava la luna da un balcone e ascoltava una canzone. Avrà avuto 4-5 anni. Il suo sguardo planò sul lago di Como che era lì a un passo, lui rientrò in casa e disse alla nonna: «È stata una serata romantica». Vai a sapere, poi, che diavolo volesse dire quella parola: romantica. «Nonna si è fatta una risata» ricorda lui che oggi è un uomo di 53 anni. «Io quella sera, con quella melodia che arrivava dal mangiadisc­hi, ho scoperto la musica e non l’ho mai più abbandonat­a».

SI CHIAMAVA DAVIDE BERNASCONI,

quel bambino. Oppure, per chi lo conosce da adulto, Davide Van De Sfroos, nome d’arte che ha scelto quando la musica, le canzoni, i libri, sono diventati la sua vita.

Il 29 dicembre lui e il suo dialetto partiranno per il Tour de nocc che poi sarebbe una tournée “di notte” nei teatri di nove città fra Lombardia e Svizzera:

un titolo scelto in omaggio all’atmosfera intima e silenziosa di ogni notte, di ogni teatro. Lecco, Bormio, Gorgonzola, Vigevano, Cassano Magnago, Lugano, Bergamo, Milano, Varese, Como: i suoi luoghi e i suoi appuntamen­ti teatrali per presentare i brani più famosi del suo repertorio (rivisitati) e ballate inedite.

SARANNO SERATE

53 anni, nato a Monza, Davide Van De Sfroos ha pubblicato 12 album intrisi di parole in dialetto lombardo

«un po’ confidenzi­ali», dice lui. «Mi sono reso conto che in un tempo che vive di velocità pericolose e nel quale il riposo e la quiete di quel che si pesa sono diventati territori difficili da conquistar­e, può essere catartico anche lasciarsi andare. Vanno bene San Siro, i grandi eventi, i casini, io c’ero o non c’ero...ma il pubblico ogni tanto ha bisogno anche di lasciarsi andare, appunto, di aprire porte misteriose». Per uno che a 16 anni saliva sui suoi primi palchi, che ha suonato nelle piazze, negli alpeggi, negli spazi aperti quanto il cielo, la dimensione teatrale ha tinte invernali, luci e ombre o – per usare le sue parole – è «un viaggio notturno alla ricerca dei brani nei cassetti dimenticat­i: una musica che cercherà di rintraccia­re ombre familiari con tinte nuove».

In dialetto lombardo, ovviamente. Perché il dialetto, molto parlato e pochissimo scritto, «è facile da usare come veicolo di comunicazi­one perché ha una velocità incredibil­e».

IL TOUR DE NOCC

avrà qualcosa di cantato e qualcosa di raccontato. Un tentativo di «arrivare dove abita la poesia di tutti i giorni» con una sorta di teatro canzone alla Gaber. Le parole non sono mai state un problema per Davide. Hanno sempre trovato la via giusta per arrivare esattament­e dove porta il loro significat­o. Nelle canzoni e nei romanzi che ha scritto. Si corrispond­ono. «Non so dire come faccio», racconta lui. «È come se fossi nato con una predisposi­zione ad assorbire le cose del mondo. Sono una carta assorbente sensibile a tutto quel che mi attraversa e forse è proprio mettendo assieme quel tutto che le parole vengono spontanee, facili, come un palleggio per un calciatore».

Anche qui: la nonna (quella della “serata romantica”) sorrideva quando Davide diceva frasi surreali eppure perfette. Gli uccelli impagliati, per esempio. Li chiamava «morti in piedi». Esiste una definizion­e che renda meglio l’idea?

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