Pieraccioni: «Porto in un film la 850 di papà»
LEONARDO PIERACCIONI
alle automobili, e soprattutto alla musica che vi ascolta dentro, deve molto: «Praticamente tutti i miei film». Le idee per realizzarli gli sono venute sempre viaggiando, rigorosamente da solo. «Sono un guidatore alla “zio Pino”, prudente e lento». E pensieroso. Non gli interessano le prestazioni della macchina. Se mai quelle dello stereo nel cruscotto. Più volte si è accorto che mentre era impegnato in soliloqui nell’abitacolo, provando i dialoghi dei suoi film, la gente ai semafori lo guardava come un matto che parlava da solo.
L’auto per lui è sempre stata un mezzo per perdersi nella fantasia. Ha cominciato da piccolo, a conferma del fatto che secondo lui quello che ti succede entro i 14 anni è quello che ti resta piantato dentro. «È successo anche con la Fiat 850 beige di mio papà: bellissima, e per me così è rimasta».
Tanto che, proprio nel film che esce oggi nelle sale, Se son rose, quel modello rappresenta una macchina del tempo spesso al centro della scena. E anche fuori. Hanno girato d’estate e, nelle giornate torride, l’attrice Mariasole Pollio, 14enne, «ci entrava con la stessa naturalezza con cui si può entrare in un microonde sulle ruote». Pieraccioni non è certo un pilota ma, come passeggero, a una cosa è davvero insofferente: al “piedino”. «Ce l’ha chi dà gas, poi stacca, poi ridà gas e poi ristacca. E via così all’infinito, per sempre. Una specie di moto perpetuo. Una cosa che, insieme ai calzini slabbrati, è la più insopportabile dell’universo». Il piedino ce l’aveva, per sfortuna di Pieraccioni, anche Fernando Capecchi, il suo agente, che lo portava sempre da Firenze a Roma a fare i provini. «Per quello forse non ne passavo mai uno: arrivavo sfinito da 300 km di velocità scostante». Una volta però l’eccezione ci fu: andò bene con Raffaella Carrà. Forse non guidava Capecchi.