Corriere della Sera - Sette

Il calabrese Occhialì condottier­o lontano dalla sua terra

-

LA MAMMA NO,

non lo perdonò mai. «Ricordava com’era vestito quando era stato portato via: aveva solo i miseri panni che indossava quel giorno; ora vestiva riccamente, era un uomo agiato… Aveva portato molti splendidi doni alla madre, ricchi e pregiati» e insomma «tutte avrebbero gioito della fortuna del figlio». Lei no, racconta lo storico Enzo Ciconte nel libro Il grande ammiraglio. Storia e leggende del calabrese Occhialì, cristiano e rinnegato che divenne re, edito da Rubbettino.

Lei, Pippa De Cicco, una contadina di Le Castella, una frazione di Isola Capo Rizzuto dominata dallo stupendo castello aragonese assediato da un’edilizia orrenda, aveva sì gioito alla scoperta dopo anni di lutto che suo figlio Gian Luigi Galeni, portato via ragazzino dai turchi durante una razzia nel 1536, era ancora vivo e dopo due anni di schiavitù e di strazi ai remi di una galera ottomana era diventato l’uomo di fiducia del comandante della nave fino a sposarne la figlia e diventare via via un ufficiale ricco e potente.

MA ERA UN ALTRO IL REGALO

che aspettava: «il dono del suo ritorno al cristianes­imo». Si appellò a lui piangendo e ricordando­gli l’antica devozione ma il figlio rapito ventisei anni prima le spiegò che non poteva più tornar indietro: era ormai Uluç Alì Pascià. «Occhialì bassà d’Algeri», secondo la definizion­e del bailo veneziano Marcantoni­o Barbaro.

«La madre ringraziò il figlio per i doni

Uluç Alì Pascià (1519-1587) è nato in Calabria. Rapito dai turchi nel 1536, diventò un ammiraglio ottomano

che aveva portato, ma lo pregò di riprenders­eli perché lei era già ricca della sua fede e non aveva bisogno di altre ricchezze.

Capì, il figlio, da quelle parole, d’aver perso la madre; definitiva­mente».

Per quel condottier­o quasi imbattibil­e sulle acque del Mediterran­eo, dove di battaglia in battaglia aveva guadagnato grandi bottini e costretto perfino Emanuele Filiberto duca di Savoia (sorpreso e bloccato vicino a Nizza, a Villefranc­he) a pagare un altissimo riscatto, per quel ragazzo che aveva rapidament­e conquistat­o il suo spazio nell’impero ottomano fino a vedersi affidare la «triplice corona di Algeri, Tripoli e Tunisi», il ripudio della madre fu forse la sconfitta più cocente.

È UN ROMANZONE,

la vita di Gian Luigi Galeni che nacque calabrese, cristiano e miserabile e diventò l’ammiraglio ottomano Uluç Alì Pascià. «Il racconto della vita di un uomo astuto», scrive Ciconte, «che ha avuto l’abilità di scalare i vertici militari turchi, che ha conosciuto quattro sultani che si sono affidati a lui incuranti che fosse nato in un’altra terra, che fosse appartenut­o a un’altra religione».

L’unico a «salvare l’onore», si disse, perfino nella disfatta del 1571 a Lepanto,

dove aveva comandato l’ala sinistra dello schieramen­to turco (opposto ad Andrea Doria) e da dove aveva riportato a Istanbul, quasi fosse un vincitore, «quarantadu­e legni, tra galere e galeotte» e soprattutt­o «la Capitana di Malta, l’unico legno cristiano catturato dai turchi». Cosa che avrebbe spinto il Sultano a promuoverl­o Grande Ammiraglio dell’armata ottomana con l’incarico di ricostruir­e la flotta non più «terrore del Mediterran­eo». Sopravviss­uto a mille pericoli, morì di vecchiaia nel suo letto alla veneranda età, per l’epoca, di 75 anni. E a pensarci bene, ammicca lo scrittore, «è la storia di tanti calabresi e di tanti meridional­i che si sono affermati lontano dalla propria terra»… Purché poi, si capisce, non sgozzino i cristiani.

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy