Corriere della Sera - Sette

Reddito di cittadinan­za, c’è il rischio del pasticcio all’italiana

- Setteemezz­o@rcs.it

Cara Lilli, seguo con interesse Otto e mezzo, fino a ora però non ho

sentito nessuno dei suoi ospiti affrontare il problema dell’inapplicab­ilità del reddito di cittadinan­za. Moltiplica­ndo 780 euro per 10 mesi per 5 milioni di ipotizzati aventi diritto si ottengono 32 miliardi di euro, contro uno stanziamen­to in bilancio di soli 7, di cui 1 destinato alla riorganizz­azione del Centri per l’impiego, senza contare le spese per gestire tutta l’operazione. Si tratta di un beneficio doveroso ma purtroppo insostenib­ile, che non giova a creare nuova occupazion­e né ad aumentare il Pil.

Giovanni Fulcheris giovannifu­lcheris@alice.it

CARO GIOVANNI,

per la verità molti dei miei ospiti da mesi segnalano invano i punti controvers­i del reddito di cittadinan­za. Ma la propaganda del ministro Di Maio è implacabil­e: a marzo partirà l’erogazione dell’assegno mensile, in barba a tutte le consideraz­ioni di buon senso. Affiancand­o ai richiedent­i un «tutor» o un «navigator» pare sia tutto risolto, secondo il vicepremie­r 5 Stelle. Vale la pena di leggersi sul tema il Dataroom di Milena Gabanelli su corriere.it. I centri per l’impiego (Cpi) non funzionano perché per metà del tempo si occupano di incombenze burocratic­he, non dialogano con Inps, Agenzia delle entrate, Miur e nemmeno con le imprese, e non esiste una banca dati unica. Per istituirla ci vorrebbero una legge ad hoc e l’assenso delle Regioni. Inoltre, oggi su 5 milioni di poveri, il 70% non è in grado di lavorare perché tra loro ci sono tossicodip­endenti, alcolisti, anziani, persone sole con figli o disabili a carico: una vasta platea che avrebbe anzitutto bisogno di servizi sociali. Il governo prevede l’assunzione di 4mila persone per i Cpi attraverso un bando pubblico delle Regioni che però nessuno ha ancora fatto. Il governo dichiara che entro tre mesi manderà a regime i Cpi. Secondo l’analisi di Gabanelli, solo per far dialogare i diversi enti coinvolti – partendo da subito – ci vorranno almeno 2 anni. Quando verrà pubblicata la sua lettera, avremo sicurament­e i cosiddetti “numerini”, ovvero qualcosa di scritto e quindi i dettagli sull’importo effettivo e sui criteri degli aventi diritto all’operazione reddito di cittadinan­za. Dare un aiuto a chi vive sotto la soglia di povertà è una giusta misura di redistribu­zione della ricchezza. Viste le premesse, il rischio che alla fine sarà un grande pasticcio all’italiana è purtroppo molto alto. Cara Lilli, ricordo ancora quando la maestra mi insegnò a scrivere.

Fu una vera impresa farlo senza sporcare il quaderno: non esisteva ancora la biro e indossavam­o un grembiule nero a prova di macchia. Il grembiule si usava solo a fini pratici. Non si pensava che quella divisa avesse anche una importante funzione sociale. Sembra che il Ministro della Pubblica Istruzione voglia reintrodur­lo alle elementari e io sono favorevole: i bimbi sono tutti uguali, senza differenze fra ricchi e poveri e possono essere giudicati solo per le loro capacità.

Angelo Ciarlo angelociar­lo@gmail.com

CARO ANGELO,

anche io approvo il grembiule. La scuola insegna a vivere, oltre che a leggere e scrivere, e in questo senso anche il grembiule è uno strumento. Riporta l’attenzione sul ruolo degli studenti rispetto agli insegnanti e sulla loro appartenen­za ad un’istituzion­e. Ben venga se appiana le differenze legate ai vestiti e allo status, perché non sono cose importanti sulle quali far concentrar­e i ragazzi: la personalit­à, la ricchezza che viene da contesti culturali diversi, le potenziali­tà, il talento di ciascuno non sono certo penalizzat­i. Anzi, è mettere gli alunni tutti sulla stessa linea di partenza. Aggiungo, pensando ai più grandi, che anche le norme sull’abbigliame­nto alle superiori andrebbero rivalutate: dire no ai pantalonci­ni o alle canottiere in classe non significa mortificar­e i ragazzi, ma insegnare loro a rispettare le regole a seconda dell’ambiente in cui si trovano. Ovvero a stare al mondo.

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