Corriere della Sera - Sette

Il maschilism­o si combatte a colpi di musica Afro Beat

- Sud Sudan

LEI CANTA: «GATLUAK, NON MI RISPONDI

al telefono, dopo che hai avuto ciò che volevi / Sei un tale bastardo, voglio solo dirti addio». E poi, nel ritornello: «Tu, uomo noioso senza un progetto». Nel video caricato da poco su YouTube, Nyaruach cammina fiera, a testa alta, fra uomini a capo chino, sulla sabbia dal campo profughi di Kakuma, Sud Sudan. Ventottomi­la visualizza­zioni online, finora, a paragone dei filmati dei nostri rapper, sono pochissime. Ma per la canzone Gatluak vale il contrario:

Nyaruach può essere fiera del fatto che il suo messaggio in chiave musicale Afro

Beat sia arrivato a così tanta gente.

Le parole della canzone sono dritte: Gatluak è un nome maschile diffuso in Sud Sudan come Mario da noi. Tutte ne conosciamo uno, tutte sappiamo come si comportano, conferma la cantante. Tutte dobbiamo imparare a evitarli, è il senso.

Nyaruach interpreta la dignità e l’orgoglio di una donna che ha vissuto anni tumultuosi dopo la morte della madre, quando ne aveva solo quattro: prima un padre violento, poi un’odissea fra Etiopia e Kenya. Al fratello Emmanuel Jal era andata almeno altrettant­o male: a undici anni è stato costretto, soldato-bambino, a combattere la guerra civile sudanese durata fino al 2005 e ripresa con gli scontri etnici in Sud Sudan.

NYARUACH E JAL

si sono riuniti, infine, e ora hanno scritto e realizzato insieme Gatluak: lei, a 35 anni, ha anche deciso di andare a vivere (con due figli piccoli) nel campo di Kakuma, che oggi dà rifugio a 185mila profughi. Attraverso YouTube, visualizza­zione dopo visualizza­zione, stanno cercando di far arrivare le parole della canzone al maggior numero di ragazze, in Africa e non solo, approfitta­ndo del successo dell’Afro Beat. Sgombriamo il campo da un possibile equivoco: qualcuno ricorda questo nome collegato a uno dei più influenti musicisti africani, l’attivista per i diritti umani nigeriano Fela Kuti? Ebbene, con lui l’Afro Beat di oggi non c’entra niente: è fatto invece di modernissi­mi suoni electro-hip hop, usa software da teenager come autotune, è ritmico e ipnotico come piace ai millennial di tutto il mondo (per capirlo meglio, dovete però ascoltarlo su internet...).

QUINDICI ANNI FA

era musica clandestin­a, poi ha preso slancio insieme all’industria cinematogr­afica nigeriana di Nollywood. Ora

brani Afro Beat sono adottati in Africa come musichette per le segreterie telefonich­e; i suoi artisti, da Tiwa Sawage (Nigeria) a Stonebwoy (Ghana) e Diamond Platnumz (Tanzania) fanno centinaia di milioni di visualizza­zioni online e si esibiscono a Londra, Parigi e New York;

Davido (nigeriano) ha suonato davanti a 10mila persone in Suriname: era stupito anche lui. Il servizio in streaming Spotify ha appena aperto un canale dedicato alla loro musica. Nyaruach sta cercando di cavalcare l’onda Afro Beat, ma con un testo tutto dedicato alle donne, rivolto pure agli uomini. In Sud Sudan, il 65 per cento delle donne ha subito violenza psicologic­amente o fisicament­e. «Se nascondo ciò che mi sta uccidendo proprio dentro il cuore, come posso cambiare le cose?», ha spiegato ad Amanda Lichtenste­in e Pernille Baerendtse­n del sito di citizen media Global Voices. Quando si dice la donna giusta nel posto giusto al momento giusto.

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Elaborazio­ne grafica di una foto della cantante Nyaruach

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