Natale ferroviario
San Giuseppe non aveva mai visto una locomotiva ed aveva paura di perdere i biglietti.
Era una sera di grandi partenze, la stazione febbrile di folla e di fischi, di luci.
Giunti troppo presto, avevan perso tempo al buffet...
Non avevano prenotato i posti, ed era corsa voce che avessero sbagliato treno.
Nessuno ad augurargli buon viaggio.
Gli amici non erano stati avvertiti. Vomitando fumo giallo e turchino come un drago il treno cambiava binario agli scambi, e ancora cambia, va più svelto, va. Scompaiono i sobborghi ed i segnali.
In piedi nel corridoio. Chi avrà compassione d’una donna incinta e così bella e che geme?
Nello scompartimento vicino certi zeloti si presero spartendosi le provviste. Alcuni richiamati facevano i maliziosi. Un pubblicano tronfio d’esose esazioni e la sua signora, una negra bellissima, occupavano i posti d’angolo sul corridoio. Un gran sacerdote faceva finta di leggere.
Un treno passa fragoroso e il bambino già ne sbigottisce nella notte materna.
Via diritti per la gran distesa, nevichi, piova, che importa quando rinfresca l’aria il fiume attraversato. Già il tempo s’addormenta e le città diradano. Foreste non superate e borghi, la valle rimonta. Alle stazioni sconosciute le sbarre s’abbassano e si rialzano nella campagna arrotondata di lassù dalla volta stellata.
Il canto degli angeli attutito dalle nuvole non ce la fa a trapassare i boati del vagone. La Vergine chiude gli occhi contro il vetro, vede.
– Tutti scendono – Albeggia.
San Giuseppe ha raccolto le valige. Il ferroviere apre gli sportelli.
Sul marciapiede l’asino e il bue son già li a parlottare.
Ah, dice Maria umilmente, è qui che ha da compiersi la parola.