Scorfano e verdura amara nel rifugio cinese a Milano
PROTETTO DALLA CATTIVA
(e immeritata) fama di via Padova e da un’insegna al neon rosa che lo faceva assomigliare a un centro massaggi, Jubin 2 è rimasto a lungo uno dei segreti meglio custoditi di Milano. Lo frequentava la variopinta, a volte disgraziata, umanità del quartiere, e poi giapponesi e coreani trapiantati in città e cinesi di tutte le generazioni – compresi rampolli di famiglie italocinesi che, dopo aver staccato dal turno nel più paludato ristorante di famiglia, venivano qui a mangiarsi qualcosa con gli amici (tra i suoi pregi c’è che è aperto fino a tardi). Da non confondersi con il più famoso omonimo di Sarpi – tra le cucine c’è una differenza abissale –,
Jubin 2 è stato aperto 16 anni fa da Elena e dal marito. Lei governa la sala coccolando concisa i clienti abituali, lui sovraintende alla cucina.
Ora che via Padova e viale Monza sono diventate, a sorpresa, il nuovo hub della cucina cinese di qualità a Milano, anche Jubin 2 si è rifatto il look e l’insegna (diventata nera), ampliandosi di una sala. Ne hanno guadagnato qualcosa pure i prezzi, ma non ha perso niente la bontà dei piatti.
IL MENÙ DEVE MOLTO ALLA TRADIZIONE
della città portuale di Wenzhou, da cui vengono i proprietari di Jubin 2 come il 90% dei cinesi d’Italia, ma spazia per tutto il repertorio dell’immensa Cina.
Imperdibili gli gnocchi fatti a mano con verdura, ottimi gli shumai e l’anatra al forno,
sorprendenti le seppie con sedano cinese, il polpo alla rucola e l’ormai rarissimo (per questione di forniture, spiega Elena) scorfano alla soia, fino a prestiti “stranieri” come il sashimi di salmone o il pad thai. Da provare anche la poco conosciuta verdura amara tradotta romanticamente dalla padrona di casa in “vuoto di cuore”. Il consiglio è proprio chiedere indicazioni a lei, seguendo le disponibilità e la stagione.