Corriere della Sera - Sette

Il migliore della settimana: Annalisa Di Piazza, 49 anni

- Quando le parole non arrivano Contributo giudiziosa­mente scelto da Micol Sarfatti

VI È MAI SUCCESSO DI PENSARE UNA COSA

e di dirne un’altra? Rimanendo anche stupiti nel sentire il suono della vostra voce pronunciar­e parole diverse da quelle che voi avevate pensato? O di incepparvi perché il vostro cervello, in quel momento, non riesce a rintraccia­re il termine giusto per esprimere il concetto che voi avete lì, ben chiaro nella vostra testa, ma che si rifiuta di uscire, ostinandos­i a rimanere rintanato nel suo cantuccio, riparato nei meandri delle pieghe della vostra mente? Oppure di interrompe­rvi a metà di un discorso perché sempliceme­nte ne avete perso il filo, così, d’un tratto, come se un alito di vento se lo fosse portato via? O di accorgervi che se incalzati rischiate di sbagliare anche le risposte più semplici?

CAPITA, E CAPITA A TUTTI.

Molto spesso per stanchezza, per stress, quando le spalle della nostra vita sono momentanea­mente curve sotto un peso eccessivo.

Ma per fortuna in genere dura poco. E si esorcizza con facilità, scherzando­ci su, magari richiamand­o in battuta l’amico tedesco (Alzheimer) che ogni tanto ci viene a trovare.

Eppure, senza arrivare alla condizione assai più grave dei veri malati di Alzheimer, che si confrontan­o con ben altro che queste sciocchezz­e, uno strano funzioname­nto dei neuroni per molti è una condizione stabile.

«Mamma, mi serve solo una spinta», mi ha detto una volta mia figlia di fronte al mio nervosismo perché si era bloccata a metà della ripetizion­e di una lezione di storia.

PERCHÉ MIA FIGLIA È DISLESSICA,

e mi è costato tanta fatica capire, in concreto, cosa questo volesse dire. Perché la dislessia non è sempliceme­nte difficoltà nella lettura.

Mia figlia legge benissimo ad alta voce. Ma comprende con difficoltà il contenuto che, se invece le viene letto, le arriva benissimo.

Mi ci è voluto del tempo. Troppo, mi sottolinea incessante­mente il mio senso di colpa. «Ho solo bisogno di quell’attimo in più…» mi dice spesso.

QUELL’ATTIMO IN PIÙ

che la scuola troppo spesso non è disposta a darle e che io, con la mia ansia di mamma, ho paura che non le darà l’Università, non le darà il lavoro, non le daranno nemmeno gli altri.

Ma stai tranquilla, tesoro. Io e tuo padre ti diamo tutti gli attimi di cui hai bisogno e tutte le spinte che ti servono.

E nel frattempo speriamo che qualcosa cambi. E se non cambia troveremo lo stesso il modo.

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