Corriere della Sera - Sette

Tante truffe, stesso stile I disonesti non cambiano mai

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«UN MONUMENTO,

anzi mille monumenti si innalzano in questa feconda e meraviglio­sa terra di Cesena al nome del commendato­re Giovan Battista Giuffrè: sono i monumenti e i conventi, le chiese e gli asili, le case dell’Azione Cattolica e le sale di lettura, i teatri parrocchia­li e i campi sportivi, le case degli operai e dei più umili lavoratori…». Sessantatr­é anni sono passati da quell’indimentic­abile libriccino edito a Cesena per celebrare le «Opere dell’apostolato cattolico, edifici sacri, istituti religiosi e case per lavoratori sorti nella diocesi per la munificenz­a del comm. Giovan Battista Giuffrè». Opuscolo firmato da una moltitudin­e di frati e suore, dall’Abate dei Benedettin­i alla madre superiora delle cappuccine, e traboccant­e d’amore per il «Banchiere di Dio» che, come si sarebbe scoperto due anni dopo, truffò grazie al credito di cui godeva tra monsignori, parroci e badesse, migliaia di italiani. Uno scandalo enorme.

«Presta e raddoppia», prometteva il commendato­r Giuffrè.

E all’inizio, effettivam­ente, i primi investitor­i ricevetter­o davvero interessi altissimi (ricavati dai versamenti degli investitor­i successivi) al punto di avere la riconoscen­za, come dicevamo, della diocesi cesenate: «Innanzi a questi monumenti vivi vi saranno sempre i fiori freschi! Fiori raccolti dai bimbi dei nostri asili in corsa nei campi! Fiori dei giovani dei nostri circoli strappati in audacia alle vette in gioiose escursioni alpine!». Finché Giovan Battista Giuffrè, ex impiegato in una banca di Imola, fu protagonis­ta di uno scandalo finanziari­o scoppiato in Italia nel 1958 scoppiò il bubbone. Sessantatr­é anni. Per non dire del tempo passato dallo scandalo Ponzi, nel 1920, causato dall’inventore dello schema finanziari­o, l’italo-americano Carlo “Charles” Ponzi. O della scoperta della truffa colossale, partendo sempre dallo schema, di Bernard Madoff, il re di Wall Street capace di rastrellar­e 50 miliardi di dollari (ma c’è chi parla di 65…) con ripercussi­oni pesantissi­me in tutto il mondo.

Eppure, come dimostra l’ultimo caso nel mitico e ricco Nordest, c’è chi ancora ci casca. Come i clienti del faccendier­e pordenones­e Fabio Gaiatto che, prima dell’arresto, aveva convinto migliaia di cittadini (gente che magari non si fidava più degli istituti di credito dopo i casi della Popolare di Vicenza o di Veneto Banca) a investire in una fantomatic­a finanziari­a fino a tirar su complessiv­amente, stando alle accuse, almeno 72 milioni di euro. Tra i bidonati, come ha raccontato il Gazzettino, c’era una varia umanità. Anche «un ex ufficiale della Marina che aveva dato 30 mila euro e si sta ancora leccando le ferite».

TUTTO COME PRIMA,

tutto come sempre. A partire dal miraggio di interessi altissimi e, ovviamente, al riparo dal fisco.

Unica differenza, stavolta, il coinvolgim­ento diretto di uomini della camorra legati ai Casalesi. Sette dei quali arrestati una settimana prima di Natale. E coinvolti, a quanto pare, nel «recupero crediti».

In un intreccio perverso con profession­isti veneti e friulani già visto qualche anno fa a Padova. Quando i giudici portarono a processo un gruppo di camorristi tra i quali spiccava ’o dottore Mario Crisci, camorrista con laurea e dominus della società Aspide srl. La cui deposizion­e davanti ai giudici fu terribile per ogni veneto per bene: «Abbiamo scelto di concentrar­e le nostre attività nel Nordest, e in particolar­e a Padova, perché qui il tessuto economico non è così onesto. Il margine di guadagno era buono, perché la gente non ha voglia di pagare le tasse (…) Avevamo la disponibil­ità di commercial­isti e notai compiacent­i…» Veneti. Utili proprio perché parlavano in veneto: «Al front office non potevamo certo metterci dei meridional­i…».

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