L’africano albino Keïta, un mito contro l’orrore
KEITA ALLE MALDIVE
fa una partitella con il pluri-tatuato Fedez. Keita confermato all’Inter. Keita giù dal podio al «Golden Lion», il riconoscimento per il miglior giocatore senegalese dell’anno, premio vinto da Kalidou Koulibaly. E poi ancora Keita che manda un messaggio di solidarietà al difensore del Napoli insultato da cori razzisti… Keita, Keita, Keita…
Eppure i giornali italiani così attenti all’ala nerazzurra Keita Baldé Diao quasi non si accorgono del Keita più importante, cioè Salif Keïta, lo straordinario musicista del Mali discendente diretto di Sundjata Keïta che nel XIII secolo fondò l’impero del
Mali ma soprattutto portavoce del mondo degli albini africani. Un mito, per chi ama la musica. Ma più ancora, se possibile, per quanti si battono per il rispetto dei diritti umani.
Se fossimo tutti un po’ meno distratti dalle faccende di casa nostra ci saremmo accorti ad esempio che l’ormai settantenne cantante africano da trentacinque anni parigino d’adozione ha reso omaggio a fine novembre, con un grande concerto a Fana, un paesotto a un paio d’ore dalla capitale Bamako, a Ramata Diarra. La bambina albina di cinque anni rapita a maggio da uomini armati, uccisa, decapitata e ritrovata qualche ora dopo a poche centinaia di metri da casa. Ed è lì, in una delle tante periferie del mondo, che il grande artista albino ha presen- Il musicista del Mali Salif Keïta in concerto
tato il suo ultimo disco. Il titolo dice tutto: Un autre blanc.
Un altro bianco. Esposto a due tipi di razzismo: quello di troppi bianchi contro i neri e quello di troppi neri contro «i neri di colore bianco».
Cosa sia l’albinismo lo riassume la Treccani: è una «anomalia congenita ed ereditaria, presente in una grande quantità di Vertebrati consistente nella depigmentazione parziale o totale della pelle, dei peli e dei capelli, dell’iride e della coroide, da cui deriva una colorazione molto più chiara del normale o una totale decolorazione». Cosa significhi esser albino per un nero l’ha spiegato su il giornalista italoafricano Matteo Fraschini Koffi: « Gli albini vengono uccisi, mutilati, e le parti del corpo sono poi vendute ai “guaritori tradizionali” per superstizione».
IN TANZANIA
e in quasi tutta l’Africa australe, ha scritto mesi fa su Lorenzo Simoncelli, «gli albini sono considerati essere maligni. Una maledizione per le famiglie, una benedizione per i fattucchieri che mischiano braccia, mani e piedi all’interno di calderoni magici usati per attirare fortuna e ricchezza. Un corpo intero di un albino, secondo i dati della Croce Rossa Internazionale, può costare sul mercato nero fino a 75mila dollari, un singolo membro tra i 600 ed i 1000 dollari». Un infame affare: «L’ong canadese Under The Same Sun ha documentato almeno 161 attacchi negli ultimi due anni, di cui 76 fatali». Nella sola Tanzania.
La Salif Keïta Global Foundation, dopo il delitto di Fana, ha pubblicato una poesia: «Sono Ramata Diarra / una ragazzina albina di cinque anni. / Mio padre storpio e povero non poteva affrontare i criminali / ma la mia buona mamma ha combattuto come un diavolo per salvarmi. Invano / Chi può proteggermi? / Sono Ramata Diarra / Potrei essere stata tua figlia, la tua bambina, la tua nipotina…».