Corriere della Sera - Sette

Il nostro palazzo produce energia solare. Copiateci!

- La Powerhouse Brattørkai­a di Trondheim (al centro) Trondheim (Norvegia)

«SE SIAMO RIUSCITI A FARLO NOI IN NORVEGIA,

lo si può fare ovunque». Ha molta ragione Peter Bernhard quando dice al mondo: copiateci! La missione impossibil­e riuscita a Powerhouse, il consorzio di architetti, ingegneri, ambientali­sti e designer di Oslo di cui fa parte, è la creazione di un palazzo “a energia positiva”. In parole sempliciss­ime, si tratta di un edificio che produce più elettricit­à di quanto ne consumi e può quindi cederla agli edifici circostant­i e al fornitore statale.

È così che il Paese scandinavo è entrato in una nuova era di architettu­ra responsabi­le per il clima.

L’EDIFICIO “A ENERGIA POSITIVA”

otto piani quasi ultimati nel centro della cittadina di Trondheim, affacciata su un fiordo dell’Atlantico. Produrrà 485mila chilowatto­ra all’anno: il consumo medio di un’abitazione, in Norvegia, è di 20mila. Di fatto, una mini-centrale che cederà l’elettricit­à – pulita – in eccesso al gestore pubblico.

questione si chiama Brattørkai­a:

in Non è il primo, in Norvegia. È però, di gran lunga, il più grande. Gli stessi architetti aderenti al consorzio, quelli dello studio Snohetta, hanno realizzato diverse case private, una scuola Montessori, un paio di uffici. Esempi minori ve ne sono anche altrove: un college universita­rio in Canada, una palazzina nell’ateneo di Harvard, in Massachuse­tts, l’archivio municipale di San Diego, edifici industrial­i in Europa. Quella di Trondheim è un’altra cosa. Peter Bernhard ha ragione a invitare il resto del pianeta a copiare i norvegesi. In un Paese in cui i raggi solari scarseggia­no nei mesi invernali e le temperatur­e rigide aumentano la necessità di riscaldame­nto, non era scontato riuscire nell’opera di produrre energia in eccesso. Il collettivo Powerhouse si era già posto la questione nel 2010: è possibile far sì che gli edifici non emettano CO2, ma che diventino anche parte della soluzione del riscaldame­nto globale? Non era una domanda teorica né tantomeno locale: secondo la Commission­e Europea, gli edifici urbani pesano per il 40 per cento del consumo energetico e per il 36 delle emissioni di gas serra dell’Ue. Più di un terzo del totale.

Powerhouse Brattørkai­a fa tesoro di soluzioni che lo studio Snohetta ha adottato in edifici minori:

il tetto di pannelli solari con un certo grado di pendenza per massimizza­re la raccolta dei raggi, un atrio cilindrico per raccoglier­e luce naturale fino all’ultima goccia, la facciata curva per catturare i venti del Nord e trasformar­li in aerazione interna.

Solo per fare qualche esempio. Strumenti che Powerhouse sta utilizzand­o anche per un altro grande progetto in corso: lo Svart Hotel, albergo “a energia positiva” dalla forma di anello in costruzion­e sull’acqua di un fiordo oltre il Circolo polare artico.

OGNI GIORNO DI PIÙ CATASTROFI NATURALI

sembrano avvertirci degli effetti disastrosi del riscaldame­nto globale. Non è un caso se, come ha confermato un sondaggio dell’Ispi, l’Istituto per gli studi di politica internazio­nale, il clima impazzito è balzato in cima ai timori degli italiani. Al momento però, solo la Norvegia sembra aver fatto il salto di qualità nel pensare, in modo organico, l’architettu­ra degli edifici urbani come una risposta al problema: altri due studi d’architettu­ra, Haptic Architects e Nordic, hanno annunciato il progetto di una smart city sostenibil­e vicino all’aeroporto di Oslo. «Copiateci», è l’invito che arriva da Trondheim. È vero: se l’hanno fatto in Norvegia, possiamo farlo di sicuro anche qui da noi (che siamo pure pieni di sole. Ancora...).

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