Corriere della Sera - Sette

Il migliore della settimana: Carlo Celentano, 43 anni

- In fila per fare la spesa Contributo giudiziosa­mente scelto da Micol Sarfatti

ANCHE QUESTA MATTINA

sono arrivato in ritardo e ho trovato una marea di gente davanti a me. La fila era lunghissim­a e non avevo molto tempo, di lì a poco sarei dovuto entrare in ufficio. Con tutta quella folla avevo l’impression­e di essere all’inaugurazi­one di uno dei tanti negozi del centro di Milano. L’odore acre provenient­e dal kebabbaro di fronte e la palina dell’autobus divelta mi hanno riportato alla realtà della periferia, ricordando­mi che stavo aspettando il mio turno per ricevere una razione di prodotti alimentari donati da un ente assistenzi­ale.

CON QUESTO

non si pensi che sia un barbone: ho un lavoro e uno stipendio dignitosi, un tetto sulla testa e vado in ufficio in giacca e cravatta, ma dopo la separazion­e da mia moglie le spese sono aumentate a tal punto che ogni mese, per vivere, devo raschiare il fondo del mio stipendio. Riuscire a risparmiar­e sulla spesa è fondamenta­le e ho cominciato a frequentar­e luoghi di cui prima ignoravo l’esistenza.

Ogni volta che mi trovo in uno di questi centri rimango colpito dall’eterogenei­tà delle persone che li frequentan­o.

Spesso, aspettando il mio turno, passo il tempo a immaginare quali direzioni abbiano preso le vite di chi mi è a fianco per finire a congiunger­si con la mia proprio lì. Oggi, però, è successo qualcosa di diverso. Annoiato dall’attesa, ho cominciato a guardarmi intorno e la mia attenzione è stata catturata da un ragazzo che, poco lontano da me, camminava spedito, smartphone in mano e cuffiette nelle orecchie. Alzati distrattam­ente gli occhi dal telefono il giovane, dopo avermi notato tra la marea di gente, ha cominciato a squadrarmi dalla testa ai piedi con aria sbigottita. Immagino sia rimasto sorpreso di vedere un uomo con impermeabi­le e valigetta ventiquatt­rore in un posto del genere. Non appena si è reso conto che anche io lo stavo fissando, ha distolto lo sguardo.

QUELLA REAZIONE,

seppur comprensib­ile, mi ha turbato: sembrava avesse visto qualcosa di disdicevol­e. Per mia fortuna il disagio non è durato molto, giusto il tempo di tornare nei panni dell’impiegato che parla di calcio con i colleghi e sbuffa quando il capo lo rimprovera. Il lavoro fa da scacciapen­sieri, come dice Salvo Randone ne I giorni contati, ma non posso negare che qualcosa sia cambiato dentro di me: oggi per la prima volta ho provato paura.

Ho paura di perdere me stesso, la mia identità sociale, i legami di 43 anni di vita.

Ho paura di venire emarginato, confinato insieme a tutti coloro che portano il marchio della povertà, quelli che la società non vuole o non può vedere. Perché quando ti abitui a voltare lo sguardo dall’altra parte anche ciò che hai sotto gli occhi diventa invisibile.

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