Il migliore della settimana: Carlo Celentano, 43 anni
ANCHE QUESTA MATTINA
sono arrivato in ritardo e ho trovato una marea di gente davanti a me. La fila era lunghissima e non avevo molto tempo, di lì a poco sarei dovuto entrare in ufficio. Con tutta quella folla avevo l’impressione di essere all’inaugurazione di uno dei tanti negozi del centro di Milano. L’odore acre proveniente dal kebabbaro di fronte e la palina dell’autobus divelta mi hanno riportato alla realtà della periferia, ricordandomi che stavo aspettando il mio turno per ricevere una razione di prodotti alimentari donati da un ente assistenziale.
CON QUESTO
non si pensi che sia un barbone: ho un lavoro e uno stipendio dignitosi, un tetto sulla testa e vado in ufficio in giacca e cravatta, ma dopo la separazione da mia moglie le spese sono aumentate a tal punto che ogni mese, per vivere, devo raschiare il fondo del mio stipendio. Riuscire a risparmiare sulla spesa è fondamentale e ho cominciato a frequentare luoghi di cui prima ignoravo l’esistenza.
Ogni volta che mi trovo in uno di questi centri rimango colpito dall’eterogeneità delle persone che li frequentano.
Spesso, aspettando il mio turno, passo il tempo a immaginare quali direzioni abbiano preso le vite di chi mi è a fianco per finire a congiungersi con la mia proprio lì. Oggi, però, è successo qualcosa di diverso. Annoiato dall’attesa, ho cominciato a guardarmi intorno e la mia attenzione è stata catturata da un ragazzo che, poco lontano da me, camminava spedito, smartphone in mano e cuffiette nelle orecchie. Alzati distrattamente gli occhi dal telefono il giovane, dopo avermi notato tra la marea di gente, ha cominciato a squadrarmi dalla testa ai piedi con aria sbigottita. Immagino sia rimasto sorpreso di vedere un uomo con impermeabile e valigetta ventiquattrore in un posto del genere. Non appena si è reso conto che anche io lo stavo fissando, ha distolto lo sguardo.
QUELLA REAZIONE,
seppur comprensibile, mi ha turbato: sembrava avesse visto qualcosa di disdicevole. Per mia fortuna il disagio non è durato molto, giusto il tempo di tornare nei panni dell’impiegato che parla di calcio con i colleghi e sbuffa quando il capo lo rimprovera. Il lavoro fa da scacciapensieri, come dice Salvo Randone ne I giorni contati, ma non posso negare che qualcosa sia cambiato dentro di me: oggi per la prima volta ho provato paura.
Ho paura di perdere me stesso, la mia identità sociale, i legami di 43 anni di vita.
Ho paura di venire emarginato, confinato insieme a tutti coloro che portano il marchio della povertà, quelli che la società non vuole o non può vedere. Perché quando ti abitui a voltare lo sguardo dall’altra parte anche ciò che hai sotto gli occhi diventa invisibile.