Il migliore della settimana: Mercedes Viola, 41 anni
I PUZZLE
mi hanno sempre dato noia. Il lavoro solitario di mettere insieme e incastrare dei piccoli pezzi colorati in base a un disegno prestabilito non mi piace. Tanta fatica, poco stupore.
Ho provato la stessa sensazione quando ho suonato per la prima volta in un’orchestra. Le mie parti mi sembravano brutte e incomprensibili. Non sono una musicista professionista. Castigo i tasti del piano con amore, ma senza vero talento. Arrivata alla mia prima prova, entro in teatro. Ho svestito a metà il pianoforte a coda e mi sono seduta in mezzo a suoni di viole, violini, flauti e clarinetti. La voce carismatica del maestro Damiano ha dato il via e siamo partiti. Per primi hanno suonato i violini, poi le viole, il pianoforte e per ultimi flauti e clarinetti.
SUONO PIANISSIMO:
qualcosa non mi torna. Sono in silenzio mentre gli altri suonano, ho ritmi quadrati mentre gli altri giocano. Chiedo permesso per alzarmi e guardare gli spartiti del Direttore – che in una pagina ha tutti gli strumenti, e Dio solo sa come fa a leggerla – mi i metto in piedi dietro di lui e guardo. Stavo suonando un altro brano, completamente diverso! Sono tornata al pianoforte ridendo dentro. Ho cambiato i fogli e iniziato a suonare la musica che suonavano tutti. E come per magia la mia parte, incomprensibile e brutta, prendeva vita e diventava bella. Suonate insieme, tutte le parti erano altro. Gli accordi mi facevano venir voglia di piangere: di allegria, di emozione e di quella tristezza dolce che spesso la musica ci regala. Volevo piangere di gratitudine per trovarmi in mezzo a bambini e ragazzi che suonavano, per condividere questo con le mie tre figlie.
Tutti a seguire il Maestro, a farci guidare per creare insieme una cosa più grande di noi, che non si può afferrare né toccare: solo sentire.
Mi sono commossa ricordandomi della mia infanzia in Argentina, quando suonavamo tutti insieme dopo cena, nel salotto della casa di campagna di mia nonna, figlia di emigrati piemontesi. Era bellissimo essere lì, a lume di candela, in mezzo a un nulla sconfinato. Anche in quelle occasioni la musica ci travolgeva e ci faceva tremare di emozione.
ALCUNI DI NOI
suonavano male, altri benino, altri ancora malissimo. Uno era bravo per davvero. Mia nonna aveva insegnato a tutti, a prescindere dal talento, l’amore incondizionato per la musica. Ma quando c’era un lutto il pianoforte e la fisarmonica ammutolivano. Suonare era vietato. Oggi non rispetterei questo divieto, perché la musica non mi pare gioia che offende il dolore, ma anima che si fa suono, accarezza le assenze, e vibra con loro in questo puzzle senza immagine da seguire, ma pieno di stupore, che è la vita.