gralista, non abbia una parte da testimone di nozze. La conversazione è fluida, anche se lei si sposta più volte per smistare una visita, parcheggiare un gattone, schivare un cagnino, consigliare i due figli che stanno uscendo («Però mettendovi le scarpe, mica si esce in pantofole»). Macedoni di nascita, lei 25 anni, lui 21, fissato di fare il calciatore («Si abbronza facile e allora si spaccia per brasiliano, fratello palliduccio di Pelé»). Oltre i vetri dello studio al quarto piano, Torino: la collina e il fiume e Superga e la Mole e la piazza Vittorio Veneto che dicono sia la più grande d’Europa.
Luciana, tu che sei dovunque, sei molto, dicono addirittura che sei troppo e troppa, immanente nei programmi televisivi di oggi e imminente in quelli prossimi venturi, Luciana chi sei, cosa sei?
«E io che ne so? Scrivo sui giornali e pubblico libri, recito in film e in commedie, frequento giurie, faccio cabaret, presento in radio e televisione. Colpa mia se non mi sento mai stanca di me? E dire che non sfuggo a nessuna proposta seria di impegno sociale e benefico. Ecco, non canto: per non far troppo ridere. Comunque sia chiaro che ho provato anche a fare la cantante, ci mancherebbe».
Rischi di passare per una matta frenetica, una acchiappattutto, una errabonda di impegno in impegno.
«Amen. Io ho comunque un posto fisso, del mio vagare materiale come dell’anima: è la via San Donato. Sta quasi in centro, è la via della latteria gestita da papà e mamma, arrivati da Bosconero, nel Canavese, cuore grosso della provincia di Torino».
Chi erano, allora, i canavesani?
«Gente speciale, saggiamente matta, aperta al mondo e chiusa nelle sue usanze, capace di creare a Ivrea la
Olivetti e di mangiare il sublime stracolesterolico salame di patate che ha conquistato Michel Platini, che se lo fa arrivare in Francia. Via San Donato è davvero etnica, ci sono i canavesani che con pochi chilometri tornano a casa e ci sono i cinesi, i sardi e i rumeni, i peruviani e i marocchini, i senegalesi e i siciliani. E persino i torinesi, i piemontesi».
Altro?
«C’è anche il cinema porno con l’ingresso proprio da- vanti al convento delle suorine, che riescono a guardare senza leggerli i titoli hard delle pellicole in cartellone. Ma Torino tutta davvero racchiude tanto mondo, anche senza pensarla come da copione città magica,
città di angeli e diavoli».
«La cosa che preferisco è mettermi, una volta a settimana, davanti al microfono di Radio Deejay per parlare e ascoltare la gente»
Luciana non patisce tentazioni migratorie, Milano o Hollywood; casomai Langa e Roero, a due passi, tartufi e vino. Littizzetto a casa sua parla un italiano lessicalmente ricco in maniera pulitissima, senza parole pesanti, se non quando proprio sono necessarie per dare bene l’idea. È colta e non smette di coltivarsi, dopo le due lauree, di piano al Conservatorio e di Lettere alla facoltà del Magistero. Il suo studio è ricco di libri importanti, libri proprio da leggere. Ha insegnato musica nelle scuole. La raccontano maestra severa assai. Ha studiato recitazione anche per arrivare alla cadenza gaglioffa del tarunese (la parlata dei terroni di Torino) di Minchia Sabbry e succedanee, tenera e intanto sguaiata.