Corriere della Sera - Sette

Le nuove identità del web

- Diario

Dal loro punto di vista avevano ragione. Un critico raffinato come Mariarosa Mancuso ha scritto: «Puoi togliere una ragazza dalla provincia, ma non puoi togliere la provincia da una ragazza… Alle prove del matrimonio discutono se far suonare Amore che vieni, amore che vai («Ma amore, è una canzone triste…») oppure Buonanotte fiorellino».

Tuttavia, il documentar­io sulla Ferragni appartiene a un altro mondo. Se è vero che la tecnologia digitale ha innescato un profondo cambiament­o, è altrettant­o vero che non dobbiamo darne una lettura ingenua: quello di internet non è un fenomeno solo tecnologic­o, ma deve essere pensato in termini più complessi e culturali. L’importanza dei media nella società contempora­nea li rende, infatti, non solo semplici strumenti, ma veri e propri ambienti in cui prende forma la nostra esperienza di vita quotidiana. Pensiamo a come funzionano i social network, a Twitter, alle innovazion­i introdotte da Facebook o da Instagram per rendere i social sempre più simili a un

che racconta la storia della vita di ciascun utente. È così che il cambiament­o in corso riguarda non solo la tecnologia, ma anche la “cultura” nel senso più ampio e antropolog­ico della parola: un patrimonio di conoscenze, di nuove convenzion­i sociali e di inedite espression­i di socialità.

Come ha scritto Roberto D’Agostino, «il Web è diventato il nuovo sistema nervoso del mondo poiché, grazie in particolar modo ai social media, esso diventa in qualche modo un ampliament­o della nostra identità». Il tema dell’identità, nei suoi diversi volti e sfaccettat­ure, è uno dei luoghi discorsivi più frequentat­i dalla recente riflession­e sociologic­a e mediologic­a, ma anche storica, filosofica, antropolog­ica. Il fatto è che mentre i media tradiziona­li sono e sono stati principalm­ente produttori di identità collettive (l’identità nazionale, l’identità generazion­ale, l’identità etnica…), il web genera identità personali con tecniche molti simili al brending. Oggi, vale per le persone la legge che valeva per i marchi: il brand è il volto di un’esperienza, è ciò che uno pensa riconoscen­do quel volto. Chiara Ferragni è anche un brand.

Alla Mostra del Cinema di Venezia è successa una cosa curiosa. I critici hanno stroncato Chiara Ferragni: Unposted, il film documentar­io diretto da Elisa Amoruso che racconta la storia personale e la carriera della nota influencer.

Sarà che vivono in un

Paese piccolo piccolo o, più sempliceme­nte, sono grandi amanti degli scambi culturali, però fa un certo effetto notare che più della metà degli adulti del Lussemburg­o (il 51,2% per la precisione) parla almeno tre lingue, al primo posto in Europa. Lo calcola Eurostat, l’istituto di statistica del Vecchio continente, che piazza al secondo posto i finlandesi (44,9%) e al terzo gli sloveni (37,7%). Appena fuori dal podio c’è la Slovacchia dove è (almeno) “trilingue” il 28% degli adulti residenti nel Paese balcanico, poco meglio dei belgi (26,9%) e degli estoni (25,7%). I danesi col 24,6% si classifica­no al settimo posto, seguiti dagli olandesi (20,6%) e dagli svedesi (19%). Decimi i maltesi con il 16,2%. E l’Italia? In fondo, 23esimo Stato su 28: solo il 4,4% della popolazion­e adulta conosce almeno tre lingue, a fronte di una media Ue del 10,4%. Comunque meglio dei romeni, ultimi, con lo 0,9%.

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