Corriere della Sera - Sette

Avedon che cercava Louise

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Marella Agnelli con quel collo che non finisce più e continua anche nella spalla, lo sguardo inafferrab­ile che guarda in macchina; Marilyn con la sua oscura fragilità illuminata da improvvisi sorrisi; Marlon Brando che si sbarba in bicipiti potenti e sigaretta, e i presidenti americani tutti occhi,

da Dwight Eisenhower a Barack Obama.

Se ci pensiamo (quasi) tutte le foto che hanno costruito l’immaginari­o del secondo Novecento vengono da lui, da questo fotografo figlio di ebrei russi immigrati a New York, che nel dopoguerra ha subito rivoluzion­ato l’arte del ritratto, partendo dalla fotografia di moda. «I suoi ritratti fotografic­i hanno contribuit­o a definire l’immagine e lo stile dell’America, l’idea di bellezza e cultura» ha scritto il New York Times nell’obituary, quando Richard Avedon è mancato a 81 anni, in seguito a una emorragia cerebrale, il primo ottobre 2004.

Sua prima musa fu la sorella Louise, bellissima e schizofren­ica, che morì in casa di cura a 42 anni, e fotografan­do lei Richard imparò a catturare il dolore degli altri con il suo obiettivo, ne parlò per la prima volta in una intervista all’Egoiste del 1985, rivelando molto della chiave del suo lavoro e della sua vita: «La bellezza di Louise… fu l’evento centrale della nostra famiglia e la rovina della sua vita. Lei era molto bella. Veniva trattata come se non ci fosse nulla dentro la sua pelle perfetta. È interessan­te che io non abbia mai guardato una sua foto in trent’anni e che solo la settimana scorsa abbia aperto la scatola dei miei primi ritratti, del tempo dell’adolescenz­a. Tutte le famiglie pensano che la loro figlia e il loro figlio siano i più bei bambini del mondo, ma mia sorella Louise era davvero una bellezza superiore, e io non l’ho mai

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